“13 luglio 2013 – Silvia” di Giovanni Zappalà
Il 13 luglio c’era un caldo afoso in città, anche alle cinque del pomeriggio.
Non me la sentivo di uscire, ma dovevo accompagnarla dalla parrucchiera in centro poiché la sua, vicino casa, era partita per le vacanze estive.
Portai la macchina al parcheggio, quasi deserto a quell’ora, così che occupai uno dei pochi posti rimasti all’ombra.
Con l’umidità mi si era risvegliato quel dolore all’anca che da qualche mese mi tormentava e che riuscivo a chetare con qualche pastiglia di FANS, senza comunque esagerare poiché non sono e tantomeno non vo-glio divenire un farmacodipendente.
Così, sperando qualche miglioramento, imbrogliando me stesso, atten-devo giornate più fresche e meno afose con la speranza di rimandare la decisione per l’intervento chirurgico.
– Ciao- Mi disse – ci vediamo tra un ora o poco più. Se non sai dove an-dare sali pure.
– Va bene, ora vedo, ti telefono tra un’ora.
– Non ho portato il cellulare – rispondesti- il credito si è esaurito da qual-che giorno e mi sono dimenticata di ricaricarlo.
– Non fa nulla. Ho il numero del negozio, nel caso non possa venire.
– Va bene…-
– O vengo o telefono per trovarci da qualche parte…- rimarcai.
Lei, mia moglie, suonò al citofono ed attese. Dopo qualche istante scattò la serratura della porta ed entrò non senza avermi lanciato un cenno d’intesa.
Trovando la via che accede alla piazza Monte Grappa transennata rammentai solo in quel momento che in quel luogo sarebbe terminata la gara della “Varese -Campo dei Fiori”. La competizione che si rinnova da qual-che anno è riservata alle auto d’epoca e mancavano ancora un paio d’ore all’arrivo della prima vettura. Comunque incuriosito mi soffermai ad osservare i preparativi che alcuni tecnici stavano senza fretta portando a termine.
Col passare dei minuti la folla iniziava ad infoltire i portici così che, in abbondanza di tempo, mi incamminai per il corso per godermi un poco d’ ombra, ripromettendomi di tornare più tardi.
Le auto d’epoca da sempre mi hanno affascinato. Tra loro le sportive degli anni ’50, quelle che avevano accarezzato i miei sogni giovanili.
La gelateria d’angolo si era riempita di avventori, ma a me non piace sorbire il gelato strada facendo.
Quando lo prendo me lo voglio gustare seduto e comodo.
Giunto all’altezza delle vetrine della libreria che sempre visito, meccanicamente entrai. L’aria dei ventilatori piacevolmente mi investì regalandomi un po’ di refrigerio. Iniziai a scorrere con lo sguardo i diversi libri accatastati sopra un tavolo al centro del corridoio.
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Libri da ‘ombrellone’ o da ‘spiaggia’, giudicai, in quanto leggeri nella forma e nel contenuto.
Un paio di ragazze in pantaloncini corti, le cui fodere delle tasche fuoriuscivano da un taglio approssimato e volutamente sfilacciato, si attar-davano a sfogliare un volumetto ridacchiando tra loro.
Una vecchia signora tutta pizzi e grinze con un ampio cappello di paglia chiaro, si intratteneva con la commessa alle vendite chiedendole il parere su un libro di Corrado Augias e quando fosse stato disponibile quello richiesto di Sveva Casati Modigliani.
Non l’avevo notata. In fondo, quasi nell’angolo del corridoio, una ragazza tenendo tra le mani un libro mi stava osservando. I nostri sguardi per attimo si incrociarono.
Lei subito abbassò i suoi per tornare a guardarmi un attimo dopo.
La mia mente iniziò a cercare tra i files della mia memoria quel viso, o meglio quello sguardo. La risposta dentro la mia testa fu ‘sconosciuto’.
Allora, come accade in questi casi, comincia fare mente locale ad altri dettagli per avere un indizio. Forse una frequentatrice del club della cultura … una del tennis… una dipendente della ditta , una mia ex allieva…?- Mah…
Così che lentamente mi avvicinai. Lei sbirciava con coda dell’occhio i miei passi di avvicinamento. Notai che aveva delle bellissime gambe ab-bronzate che venivano messe maggiormente in evidenza da un paio sandali a strisce strette di giusta altezza, senza ricorrere ai tacchi ‘12’, quelli che oggi vanno per la maggiore mettendo a rischio l’equilibrio ad ogni passo.
Voltandomi la schiena, per metà nuda, vidi nettamente la figura del corpo.
La vita era snella e lungo la schiena si adagiava una lunga chioma chiara raccolta a coda di cavallo così da evidenziare meglio i tratti del viso.
Mi avvicinai così tanto da percepire il suo odore. Era un piacevolissimo odore, e non era profumo. Era un odore che avevo avvertito in gioventù.
Gli anni in quel momento svanirono e mi sentii attratto da quel fiore.
Una delicata, conosciuta affinità olfattiva.
Lei sorprendendomi si girò e mostrandomi la copertina del libro che teneva tra le mani mi chiese se l’avessi letto.
– No- risposi, dopo aver dato una sbirciata al titolo che non ricordo.
– Mi spiace di non esserle utile. Io raramente leggo romanzi. Sono più at-tratto da saggi o dai libri di poesia.
– Poesia?-
– Si …Poesia. So che può destare meraviglia ma lì trovo la mia evasione. Penso che sia il cibo dell’anima e anche quella deve essere nutrita.
– E’ raro conoscere qualcuno a cui piace la poesia. Mi sembra un linguaggio anacronistico. A me sembra che oggi il linguaggio sia più orientato su quello giornalistico e scandalistico.
– Condivido la sua opinione. Oggi tutto deve tendere a fare notizia. L’importante è destare curiosità, scalpore, sputtanamento…mi scusi…
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Non volevo essere volgare. Ma è quello che penso leggendo ciò che viene pubblicato e che spesso, purtroppo, viene condiviso con successo.
– Ma è difficile scrivere di poesia…
– Certo lo è. Me ne sono reso conto quando ho iniziato a scrivere qualche verso e ho avuto la presunzione di trasmettere le mie sensazioni , i miei sentimenti attraverso di loro. La poesia è un linguaggio universale e a volte non ci accorgiamo di viverci dentro. C’è più poesia di quanto immaginiamo.
Alcuni testi di grandi cantautori sono vere poesie. Vedi per esempio Cocciante, De André , Baglioni, Conte, Lauzi e tanti altri…
– Si, è vero, non avevo mai pensato di conoscere un uomo che mi parlasse di poesia. Normalmente sono attratti da altre cose.
– Si, anch’io lo sono, come vedi ti ho importunata…
– No, anzi la considero una esperienza interessante.
– Scusami ma qui dentro comincio a sentire caldo. Che ne diresti di uscire?
– Si certo, oggi c’è un’afa irrespirabile.
E uscimmo dalla libreria. Passando davanti al ventilatore che era stato messo a terra il vento le alzò le gonne che lei graziosamente trattenne, voltandosi verso me ridendo. Era una scena già vista moltissimi anni prima e che stavo rivivendo. E il pensiero corse a ritroso nel tempo.
– Scusami- le dissi quando fummo fuori. –Ti posso dare del ‘tu’ ? Mi troverei maggiormente a mio agio, se vuoi naturalmente…
– Certo non sono abituata a usare il ‘lei’.
– Permetti che mi presento? Sono Giovanni, Gianni per gli amici.
– Piacere, mi chiamo Silvia. Non sono di Varese. Sono di passaggio per ragioni di lavoro. Questa sera ritorno a casa. Abito vicino a Roma.
– Ci sediamo da qualche parte? Ho una leggera sete.
– Con piacere.
Attraversammo la strada e la piazza ‘Broletto’ e prendemmo posto in quel grazioso bar che ha parecchi tavolini all’aperto lontano dal rumore.
– Roma…- dissi riprendendo il colloquio- Una bellissima città. Ci vivrei per il clima, la bellezza, la cultura. Ci sono andato parecchie volte per la-voro ma la prima volta fu per il viaggio di nozze, cinquant’anni fa…
– Ah ecco, avevo notato che porti la fede, ma cinquant’anni di matrimo-nio… non ci posso credere. Mi sembri ancora giovane. Non voglio sape-re la tua età. Quella che si ha è quella del cuore. Io non ti dirò la mia. Così siamo pari.
– Grazie per il complimento. Io faccio solo una constatazione. Sei bella, fi-ne, possiedi tutte la caratteristiche della ragazza che mi ha fatto girare la testa.
Anche lei, mia moglie, era così, quasi uguale a te. Ecco perché mi hai colpito. Mi hai fatto ritornare indietro, molto indietro negli anni e ho trovato , non so come, il coraggio, la sfacciataggine di importunarti.
– No, non dire così. Mi hai fatto piacere invece.
– Piacere poi…
– Si perché io credo a certe cose, a certe combinazioni o meglio coincidenze
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che superano la nostra capacità di comprensione. Vedi, un attimo fa mi hai detto che ti ho ricordato la tua ‘lei’ quando mi hai vista. La medesi-ma cosa è successa a me. Strano vero?
In quel momento giunse la ragazza del bar.
– Cosa gradisci?
– Un decaffeinato freddo.
– Anche per me.
La ragazza sparì.
– Si, vero. Anch’io ci ho fatto caso e talune volte sono rimasto sorpreso. Forse sono solamente allucinazioni, o forse no. Mi è successo qualche volta di rivedere persone scomparse, ma solamente di sfuggita, per un istante .
– Vedi?
– ‘Chi veramente ci cammina accanto?’ Così termina una mia poesia.
– Mi piacerebbe leggerla.
– Mi dispiace, ma non ho nulla con me e le copie della mia ultima pubblicazione di qualche anno fa sono esaurite. Si potevano consultare sino a qualche mese fa proprio nella libreria in cui ci siamo conosciuti, ma nulla in particolare. Sono solo un dilettante. Come tu ben saprai la poesia oc-cupa una nicchia nel mondo della letteratura e ben pochi la seguono.
Lei alzò il viso in alto e iniziò a ruotare lentamente il capo guardandosi attorno ammirando quel piccolo mondo che la circondava rimanendo assorta , in silenzio, come se ascoltasse qualcosa.
Io per tutti quei secondi la guardai notando il suo profilo perfetto e gli occhi chiari che stavano osservando qualcosa che io non vedevo.
– Questo luogo mi ricorda qualcosa che mi sfugge. Ma quello che non può passare inosservato è la bellezza pulita, essenziale, raccolta che si nota.
– Mistica …forse?
– Si…ecco la parola che non mi veniva. Era forse un luogo di preghiera?
Giunse la ragazza del bar portandoci l’ordinato. Pagai senza curarmi del resto. Bevemmo in silenzio, guardandoci di tanto in tanto.
-Era la dimora dei ‘Biumi’, una nobile famiglia del passato fra le più potenti del borgo. La vera e propria abitazione è del 1600 circa, le ali con gli archi ‘ a pieno centro ’ sono di un secolo prima. Comunque non sbagli. Qui vicino vi erano parecchi conventi a quei tempi.
Rimase ad ascoltare annuendo, guardandomi intensamente. Poi prese la sua borsa bianca a sacco e dopo aver frugato per qualche istante , ne trasse una busta di pelle.
– Sai, tu assomigli molto ad un mio caro amico.
– Dal modo con cui lo dici mi pare che questa persona sia molto di più che un amico. Vero?
– E’ vero. Era il mio ragazzo da un paio d’anni, lo è stato fino a tre mesi fa.
– Vi siete lasciati ?
– Lui mi ha lasciato. E per sempre…
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– Non farmi pensare male…
-No, non pensi male…hai capito bene. Una brutta, inguaribile malattia me lo ha portato via. Avevamo fatto dei bellissimi progetti. Tutto è finito. Anche la mia vita ormai non conta più nulla…Si è vivi solo per il tempo che si è amati.
Rimasi senza parole. Dopo qualche attimo le presi il braccio stringendolo come se volessi infonderle coraggio. Lei si scostò e si chiuse in un pianto muto, accorato, sincero.
-Su, su…- Le dissi alzandomi e ponendole una mano sul capo.
Lei si alzò e abbracciandomi si abbandonò ad un pianto disperato.
Nell’imbarazzo più totale la strinsi a me. Poi accarezzandole i capelli la invitai a sedersi nuovamente. Lei dopo un momento si ricompose asciugandosi gli occhi e dalla busta che era rimasta sul tavolino prese un paio di foto.
-Ecco questo è …era lui. Andrea. Qui è con la sua inseparabile moto. Il suo ‘mostro’ come lui la chiamava. Ora se ne sta in garage ed io non ho il coraggio di disfarmene.
Guardai la fotografia. Una bella foto scattata sicuramente da lei. Lui era a cavallo della sua Kawasaki Z750 e teneva il casco sottobraccio.
-Vedi come ti assomiglia? Sembri suo fratello. E guarda quest’altra presa più da vicino. Guarda! La stessa forma del viso, gli occhi…il taglio della bocca…
Effettivamente, come figura, vi era qualche similitudine. L’unica ecce-zione erano i capelli, che lui aveva: Erano folti e ricci come li avevo in gioventù .
-Effettivamente ci sono molti tratti in comune.
Le dissi soffermandomi maggiormente sulla seconda foto in cui aveva gli occhiali da vista con il taglio della montatura molto simile alla mia.
-Quanti anni aveva?
-Ventotto…ed era laureato in lettere. Tu me lo hai ricordato. Quando ti ho visto entrare in quella libreria mi è venuto un tuffo al cuore. Capisci?
-Certo, e mi rammarico per averti rinnovato il dolore che vedo ancora vi-vo.
– Al contrario ti ringrazio. Sei una bella persona. Per questo che mi sono lasciata avvicinare e, sopportandomi, mi hai lasciato parlare di lui. Con altri non lo avrei mai fatto. Sarò una inguaribile stupida, anzi lo sono, per pensare a certe coincidenze, a certi miei inconfessabili pensieri… ma stai tranquillo, non sono in cerca di guai, una rovina famiglie.
-Non lo penso nemmeno. Ma ti sembrerà terribilmente strano ma anche tu mi ricordi la mia ragazza quando ancora non sospettavo nemmeno che potesse diventare mia moglie. Fu un incontro giovanile, ma non casuale, voluto.
Si , voluto. Ho conosciuto tutte le sue amiche, lei era l’unica che non mi degnava di uno sguardo. Forse è stata una sua strategia. Le donne ne san-no una di più del diavolo, si dice. Mi è sempre piaciuto andare contro corrente , sfidare gli avvenimenti avversi, è nel mio carattere.
-Il nostro incontro mi insegna che lo rivedrò. Sicuramente ti sembrerà assurdo ciò che sto dicendo, ma io ne sono profondamente convinta. Se non in questa vita in quell’altra, ne sono sicura. Ce lo siamo promessi.
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Così dicendo ci alzammo e ci incamminammo verso l’uscita che da sulla via Veratti, la via dove sorge il ‘piantone della città’.
-No, non mi accompagnare. Preferisco andare da sola. E’ stato bello. Ciao…
E mi baciò. Fu un bacio vero, con trasporto. Ma non baciava me. Negli occhi chiusi vi era un’altra immagine. Lo intuii dal suo respiro. Dalla for-za del suo abbraccio. Quando si scostò mi sentii le guance umide.
Senza alzare il viso attraversò la strada.
-Ciao … Le dissi alzando la voce perché la raggiungesse.
Lei si voltò per un attimo, accennò un segno che più che un saluto mi sembrò un addio e qualche passo dopo girò l’angolo.
Ho ancora quell’immagine negli occhi: La sua figura, quei capelli…
Pareva lei, quella dei miei battiti del cuore.
Mi ricordai dell’appuntamento e subito telefonai al negozio.
Una voce conosciuta mi assicurò che il trattamento era terminato. La pregai di dire a mia moglie di scendere. Ero, senza accorgermi, arrivato all’ingresso.
-Ciao – Disse appena giunta. -E’ stato più lungo di quanto pensassi. Dove sei andato ? Hai incontrato qualche bella ragazza? – Mi chiese ridendo.
-Si – Risposi. Lei mi guardò e sorrise.
-Hai sempre voglia di scherzare .- Replicò .
Sentivo una tristezza nel petto, ma da buon attore sfoderai il più ipocrita dei sorrisi. “Dì la verità se non vuoi essere creduto” disse un grande saggio.
Ricordando la grafica della copertina, il giorno dopo nella libreria, nella stessa posizione in cui c’era Silvia, ancora appoggiato sul piano di lettura rintracciai quel libro: “ Ritrovarti” di Véronique Olmi.
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