“L’abisso dell’esraneità” di Chiara Del Nero
In un tempo lontano esisteva un paese, detto il paese degli estranei.
In questo paese l’aria era irrespirabile per uno che non fosse stato un estraneo;
tutti infatti giacevano a terra, buttati in mezzo al fango, alla paglia sporca.
Il fetore era orribile e il lamento continuo e nessuno era in grado di avere
rapporto con gli altri.
Erano tutti così estranei che se uno, per caso, avesse porto qualcosa a qualcun altro,
questi non avrebbe capito, non avrebbe potuto capire e neanche quindi sarebbe riuscito
ad alzare il braccio o la mano o lo sguardo, per prendere, per capire, per accogliere.
E tutti, erano così.
Così tutti si ignoravano né vedevano niente perché per loro non c’era niente da vedere.
Le parole non avevano senso ed erano solo suoni senza tono; questo paese degli
estranei era terribile, nessuno poteva riconoscere nell’altro qualcosa.
E’ per questo che a nessuno importava nulla del modo di vivere dell’altro
e neanche di sé. Nessuno si lavava e nessuno era spinto a muoversi verso alcunché
se non ogni tanto tentare di riempire un po’ lo stomaco, per la sopravvivenza.
In questo paese non esistevano lo scambio,
l’amore, la rabbia e il giusto sonno.
Un giorno mentre tutti, come sempre, erano buttati a terra,
si avvicinò lentamente, sinuosamente e maestosamente
un enorme serpente.
Avanzava, lentamente strisciando.
Ondeggiando nel bel mezzo del paese.
I sui occhi di rettile fissavano ora l’uno ora l’altro dei diversi che giacevano a terra.
Sembrava li scrutasse per valutarli.
Quale sarebbe stata la sua prima preda?
Procedeva lento e sicuro. Nessuno lo disturbava né concepiva il pericolo.
Ecco che il serpente, enorme, si arresta davanti ad un giovane
e perciò stesso appetitoso. Lo fissa, lo ipnotizza pare.
Con uno scatto fulmineo si avventa sulla sua gamba e gliela trancia di netto.
Un urlo di dolore, alto e spaventoso lacera il silenzio e interrompe il lamentìo abituale.
Uno alla volta, ognuno degli estranei, pare emergere da un luogo lontano.
Ognuno, dalla propria estraneità, sollecitato nell’istinto più profondo sente paura, e con la propria nascente intelligenza,
si scaglia contro il serpente che è, così, ucciso.
Poi “gli estranei” si guardano negli occhi e si riconoscono.
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