Dubai

Dubai

DUBAI – marzo 2019

 

Ho avuto la fortuna di viaggiare molto. Ho visitato cinque continenti alla ricerca di paesi e culture “diverse da me”, ma non ero entusiasta di questo viaggio a Dubai. Non pensavo di trovare quel “diverso da me” che fa scattare la curiosità e la voglia di affrontare le fatiche di un viaggio per scoprire diversità e similitudini tra la mia cultura e quelle del resto del mondo.

Invece Dubai mi ha profondamente colpito, dandomi l’altro estremo della società umana. Quella di un possibile futuro.

Tutti i paesi che avevo incontrato prima mi portavano a confrontarmi con culture rimaste più vicine a una vita naturale, secondo schemi e ritmi che furono del passato. Oppure, come nel caso degli Stati Uniti, ambienti e situazioni più contemporanee, ma ancora in qualche modo collegate al mio mondo e alla mia scala di valori e di priorità della vita.

 

Dubai è altro da tutto questo.

È difficile descriverlo, occorre avere il tempo e la voglia di viverlo per qualche giorno, senza farsi affascinare dalle mille sirene che cercano di attrarre i moderni naviganti verso gioie e delizie di una modernità libera e svincolata da qualunque limite naturale.

 

Uscendo dall’aeroporto la bella metro sfreccia in mezzo alla città. Ovviamente con un vagone riservato ai possessori del biglietto oro. Si capisce subito come è organizzata questa società. Il volgo si stipi negli altri vagoni…

Tutto è immerso in una foschia che qui è sabbia alzata dal vento e non certo smog non esistendo fabbriche. Nella luce non limpida i grattacieli si stagliano nel cielo opaco. Sono sparsi sul terreno arido che con l’avanzare dei lavori si trasforma in meravigliose aiuole fiorite con miliardi di petunie.

Gru da tutte le parti. Le gru sono la prima caratteristica della Dubai di oggi. Non c’è quartiere dove non fervano lavori imponenti e continui anche in vista dell’Expo 2020. È una vasta distesa, una foresta di tornite colonne di cemento, sparse senza alcun apparente ordine, che si estende a macchia d’olio sulle sabbie del deserto che come per incanto si trasformano in prati verdi e profumati giardini.

L’impressione è che non tutte queste centinaia di grattacieli siano abitati. Ma cercano di farlo credere in ogni modo. La sera le luci ai vari piani, ma soprattutto le fantasiose illuminazioni delle facciate cercano di attirare l’attenzione differenziandosi l’una dall’altra.

Sono una quantità impressionante e la fantasia degli architetti cerca forme sempre diverse e sempre più astruse per stupire e attirare i clienti. Impossibile tentare di descrivere le mille architetture che mi scorrono sotto gli occhi. Sembra di aggirarsi in un plastico del Lego in dimensione reale dove un ragazzino sperimenta le forme più assurde. Ovali con un buco in mezzo, cubi sovrapposti sfalsati, uno dei più eleganti è come la vela di un enorme pennone, poi due torri gemelle cresciute a coppia in forme liberty a scimmiottare il Crysler di NY, altri due curvati l’un verso l’altro come due lottatori in procinto di attaccarsi e mille altri ancora…

Diverso da tutti è il Burj Khalifa il grattacielo oggi più alto del mondo. 888 metri, tanti quanti i versetti del Corano mi dicono. Questo è di un’eleganza rara, altissimo sopra gli altri, slanciato e così ben proporzionato che finché non sei in cima non ti rendi conto di quanto sia più alto di tutti gli altri. Anche l’interno è più sobrio ed elegante rispetto a qualunque altro immobile di Dubai. L’esperienza di arrivare in poco più di un minuto al 124 piano -due piani in un secondo- è da fare. E poi ancora più su fino al 153, dove in un elegante appartamento siamo accolti dalla bella voce di una cantante e camerieri che servono al nostro gruppo di una ventina di persone vino (ma non siamo in un paese mussulmano…?) e tartine a 580 metri da terra. La parte più alta non è accessibile neanche pagando qualche supplemento. Qui di solito con un supplemento fai qualunque cosa. Ma alla Torre del Califfo no.

 

La cantante è brava ma la sua voce cade nel vuoto. La gente è distratta dall’emozione del luogo speciale in cui siamo. Mi ricorda i lussi del passato quando musicanti delle corti nobiliari suonavano per una folla di convitati distratti che non apprezzavano né forse capivano le strepitose melodie dei grandi che oggi noi ammiriamo e ascoltiamo in religioso silenzio.

È un piccolo episodio tra i tanti di questi giorni.

Ho spesso provato la sottile sensazione di essere immerso in un lusso esagerato e violento. Qui il mondo è rigidamente diviso in caste impermeabili. Gli arabi locali che si riservano i loro spazi e marcano la loro diversità con le candide identiche vesti. I forestieri attratti dal giro d’affari e dalla totale libertà economica e legale. I turisti che si lasciano affascinare da un paese dei balocchi. E sotto a tutti indiani, pakistani e mille altri lavoratori, solo apparentemente liberi ma in realtà al limite della schiavitù, in perenne formicolare dentro e fuori degli edifici. Impressionanti i lavavetri nel vuoto appesi alle facciate o l’indianino piegato in due a lucidare con uno straccetto l’infinita balaustra d’acciaio di un ponte sopra un canale per gli yacht…

Il permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri dura sei mesi. Dopo, salvo quelli al servizio delle famiglie, devono tornare al loro paese e attendere un anno prima di fare una nuova richiesta. La quantità di personale presente ovunque mi fa pensare a paghe da fame e tutti i servizi funzionano 24 ore al giorno, più ancora che a New York. Quando partiamo prenotiamo un taxi per mezzanotte e mezza (infernali orari degli aerei, noi non disponiamo di jet privati…) e la città è viva e animata come a mezzogiorno.

 

Visitiamo vari Mall, enormi centri commerciali che qui ti presentano come i musei della loro cultura. C’è di tutto e al massimo livello. Ogni griffe di ogni paese del mondo qui ha diversi negozi in tutti i Mall. Il più grande, il Dubai Mall, è una città brulicante come un antico souk, ma linda e sfavillante come un palazzo reale con fontane e marmi di un lusso e un’appariscenza non descrivibile.

Qui l’eccesso è la regola. Nel Dubai Mall c’è di tutto. L’acquario più grande al mondo con 33.000 pesci: squali, pesci sega, aquile di mare, branchi di carangidi dorati, una enorme cernia centenaria e mille altri ancora. La stazione sciistica dove mamme e ragazzini imbacuccati in giacche a vento e passamontagna scivolano sui 400 metri di pista innevata o lungo il canalone del bob. Il tutto chiuso in una teca di vetro in modo che tutti possano vedere chi scia quando fuori ci sono 40 gradi. E intorno stube tedesche e chalet svizzeri con tanto di fonduta.

E, un paio di piani più sotto, una grande pista di pattinaggio, ovviamente su ghiaccio…

 

Il corrispondente esterno dei Mall sono le zone sul mare: Marina, GPR e diverse altre città nella città con grattacieli lungo spiagge e tutto quanto si può immaginare di desiderare in riva al mare. L’esibizionismo personale è soddisfatto da una palestra all’aperto sulla spiaggia dove i forzuti si mettono in bella mostra facendo i loro esercizi accanto alla passeggiata delle famiglie. E ancora centinaia di negozi e ristoranti di ogni cucina del mondo. Cercare di distinguersi, di emergere è il messaggio costante: in un bar ti siedi al tavolo rotondo, tutta la struttura si innalza fino a una ventina di metri nel vuoto, e tu bevi il caffè guardando gli altri dall’alto.

 

Un giorno è dedicato al deserto, l’unica vera ragione per cui avevo accettato di fare questo viaggio… Usciamo dalla città con un gippone enorme (qui tutte le auto sono gigantesche con cilindrate da 5/6.000 per noi assurde; incontro una Tiguan come la mia e sembra una topolino…). Basta allontanarsi un poco dall’abitato e il deserto riemerge potente e rosso. La vegetazione è rada e sparsa come in tutte le zone aride, ma curiosamente i cespugli sono su piccoli dossi e non, come di solito, al fondo di avvallamenti del terreno per raccogliere l’umidità notturna di condensa.

Previo biglietto entriamo nella riserva naturale dello sceicco, un pezzo di deserto cintato da un’alta rete, dritta e perfetta come un campo da calcio svizzero. Sgonfiano le gomme -come dice Luca per dare alle ruote la presa del molle piede del cammello- e ci inoltriamo in quello che sembra un ambiente naturale e selvaggio. In fondo quasi all’orizzonte vedo un profilo più verde. Penso a un’oasi, ma sembra troppo vasto. Quando arriviamo troviamo diversi impala e un paio di orici dalle lunghe eleganti corna inanellate che brucano tranquilli i cespugli, non disturbati dal nostro passaggio.

Poi mi cade l’occhio e vedo un tombino rettangolare, verde per confondersi con la bassa vegetazione. Guardo meglio e noto una rete di tubi neri per l’irrigazione!

Forse sarà meglio creare l’ambiente adatto agli animali che foraggiarli regolarmente, ma irrigare il deserto è proprio l’ultima delle cose che potevo immaginarmi!

La gita -o come lo chiamano loro il safari- prosegue con le jeep una dietro l’altra, scorazzando sulle dune. Apprezzo l’abilità dei guidatori che sanno magnificamente destreggiarsi sui profili affilati delle dune e superano gli avvallamenti con sapienti accelerate, ma ho precisa impressione che ci stiano facendo fare le montagne russe nel deserto. Un luna park in un vero ambiente naturale…

 

Un giorno è dedicato a Abu Dhabi, a un’ora d’auto circa da Dubai.

Anche qui grattacieli, ma si respira un’aria diversa. Tutto dà un’impressione di maggior ordine, programmazione, eleganza, prospettiva. È difficile dire perché, ma tutto sembra più sobrio anche se non mancano le altezze e le imponenze dei fabbricati.

La grande moschea è una sorpresa. Una macchia bianca che non ci abbaglia solo perché siamo sotto tempesta di sabbia. Una profusione di cupole, colonne, pareti e pavimenti tutto di marmi bianchi da ogni parte del mondo. Un moderno Taj Mahal con grandi fiori colorati alle pareti e arabeschi di marmo intagliati sui pavimenti. File sterminate di colonne racchiudono il grande cortile su cui si affacciano le sale di preghiera. Con i loro capitelli dorati sembrano giganteschi souvenir turistici e contrastano con la delicatezza dei disegni intarsiati nel marmo.

D’istinto mi viene da comparare e criticare questo opulento edificio con la raffinatezza dei monumenti del passato e dei nostri sontuosi palazzi rinascimentali. Subito però penso come erano al momento della loro costruzione la facciata del Partenone o dell’Ara Pacis con statue e bassorilievi colorati a tinte vivaci, o lo stupore dei bravi fiorentini tradizionalisti davanti all’audace Primavera del Botticelli e alle rivoluzionarie innovazioni dei Medici.

Credo ogni cosa vada contestualizzata e meriti il beneficio del tempo. Oggi qui, in mezzo a queste sabbie rosse, il denaro e il potere assoluto degli emiri consente di creare ciò che il gusto di oggi ritiene “di lusso”. Anche i grattacieli in fondo hanno lo stesso scopo. Sono l’espressione del potere che si mostra in ciò che “la gente” ritiene più raro prezioso e impossibile da raggiungere per i più.

Comunque resto della mia idea e non credo che fra qualche secolo un frammento qualunque di questi emirati riuscirà a suscitare la medesima emozione di un frammento di metopa del Partenone o una singola formella del Ghiberti.

 

Il Louvre di Abu Dhabi. Potenza dei francesi. Chissà quanto si sono fatti pagare per portare qui un centinaio di loro opere. La costruzione è meravigliosa e sembra sia solo la prima di molte perché questo emirato vuole puntare sulla cultura. L’allestimento è strepitoso, completamente diverso da come si usa nei musei occidentali. Qui gli oggetti non sono divisi per epoche o culture ma per tipologia, accostando i medesimi oggetti di tempi e popoli diversi e lontanissimi tra loro.

L’accostamento impressiona per la costanza del pensiero e dell’interpretazione umana dei principi essenziali. Vedere vicine una Iside egizia con una divinità femminile del Benin e una madonnina d’avorio gotica, rende chiaro come l’Uomo affronti sempre nel medesimo modo gli eventi principali della vita. La forma esteriore può apparire diversa ma vedendole accostate trasmettono esattamente la stessa emozione.

E noi italiani? Noi non abbiamo un Louvre, noi siamo tutto un museo diffuso… nessuna istituzione avrebbe la forza di proporre un accordo del genere. Dovrebbe pensarci l’amministrazione centrale o il governo…

 

Rientrati a Dubai visito la città vecchia, quello che hanno salvato anche se non avevano molto da salvare, visto che nel ’40 erano in 50.000 abitanti e la città era fatta di capanne di paglia…

Il museo della cultura araba e beduina, con la modestia delle povere vite dei pescatori di pesce e di perle di poco più di mezzo secolo fa, stride ancor più con l’iperfuturibile che sono riusciti a far diventare realtà.

Oggi la vita qui è basata sull’apparenza, l’esagerazione, il di tutto e di più. Si certo c’è un limite impalpabile gestito dai governanti, ma tutte le regole normali qui sono stravolte. L’acqua bene raro, è usata a profusione con fontane in ogni angolo ed enormi pareti coperte da cascate del prezioso liquido dentro e fuori i fabbricati. Le auto, le autostrade, le costruzioni, i quartieri interi sembrano rispondere solo al desiderio di fare di più a prescindere dal necessario. Si vive al massimo spinti da una pubblicità che propone il lusso e la quantità come unico scopo. E tutto questo si rivolge a un pubblico eterogeneo fatto di stranieri da tutto il mondo che vengono spinti a vivere con l’acceleratore al massimo.

Mi ha colpito una pubblicità sul monitor dell’ascensore. Un cameriere versava una bevanda a dei ragazzi sdraiati sui divani direttamente in bocca dall’alto. Si certo era una scena allegra e divertente. Ma è una ragazzata infantile. Forse l’abbiamo anche fatta in molti, ma che diventi elemento di pubblicità del ristorante dell’albergo è assolutamente emblematico di uno stile di vita in cui tutto appare permesso

L’impressione è di essere in uno dei tanti film di fantascienza dove città future incanalano le masse verso consumi non essenziali, spingendo sempre la quantità svincolata da qualunque qualità che non serva all’apparenza.

Tutto è molto simile a Las Vegas, il problema è che qui si prendono sul serio.

 

Dubai non ha petrolio e nessun’altra risorsa naturale. Lo stesso è riuscito a creare dal nulla una grande città moderna lanciata verso il futuro. Tutto cresce continuamente e si autoalimenta per mostrarsi sempre più bello grande divertente e attrarre persone ricche da tutto il mondo con l’illusione di una vita di lusso ai massimi livelli. È una spirale vorticosa basata su migliaia, milioni di semi schiavi e l’importazione di qualunque mezzo di sostentamento, alimentare e non. È una città creata sulla sabbia in qualunque modo la si voglia guardare. Finché tutto gira, tutto cresce. Ma nulla può crescere all’infinito…

 

Alla fine non sono stati giorni sprecati. Questa visita degli emirati mi ha dato l’altro estremo limite del “diverso da me” quello proiettato verso un possibile futuro, e in qualche modo mi ha aiutato come e più di tante altre culture legate al passato a mettere ancora più a fuoco il mio modo di vivere e quindi me stesso.

Se provo interesse, tenerezza, ammirazione per le culture antiche che ho incontrato e che in qualche modo sento all’origine del mio modo di essere, questa che è più avanti mi spaventa e mi allontana.

Sono forse diventato vecchio?

 

 

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