“La decisione” di Chiara Del Nero
“ La morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. Ricordarsi che si muore presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per prendere le grandi scelte della vita. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore”. (Steve Jobs)
anno 3492, ottobre
Era passata appena mezzanotte e un aereo in lontananza lasciava una scia di suono nel cielo scuro e nuvoloso. Mentre allungava il passo verso casa, Rose respirava volentieri l’aria appena fresca della notte autunnale; aveva molti pensieri a cui dare attenzione, ma rimandava; era più forte, e s’imponeva, la sensazione del corpo in movimento, sciolto e sicuro; era più forte la sensazione della propria densità che fendeva l’aria; era più forte sentirsi un niente perfettamente inserito nell’insieme universale. Talmente forte questo sentirsi bene, per qualche attimo perfettamente bene, che la mente non poteva agganciarsi, non poteva pensare. Un vero piacere, lo scuro e nuvoloso manto protettivo del cielo e la leggerezza della mente tranquilla. Un senso di pace senza sforzo si era impadronito di lei.
Come sempre, in automatico, mancando pochi passi al portone di casa, si diede a frugare nella borsa alla ricerca del mazzo di chiavi. Il contatto con il metallo freddo e liscio la richiamò alla pesantezza della propria situazione esistenziale e d’un colpo la mente riprese a girare nel modo abituale. La domanda impellente, martellante, ogni gradino fino alla porta di casa, era rivolta a se stessa: “Come riesco ad andare avanti se non gli parlo? …”. Con la mano un po’ fredda sulla maniglia e il cuore stretto in una morsa d’ansia entrò in casa.
L’accolse il silenzio; la casa era tiepida e Arturo già dormiva; si rilassò. Rimandare l’incontro chiarificatore con lui la faceva star meglio ma il continuo rimandare qualcosa che invece andava affrontato la ricacciava poi in un malessere che conosceva bene. Il rimandare, in special modo tutto ciò che riguardava sé, i propri gusti, le proprie inclinazioni, in fondo era il filo conduttore di tutta la sua vita; il tessuto su cui aveva disegnato il proprio vivere. Si sedette sul divano, non aveva sonno, e zigzagando tra i canali televisivi senza peraltro guardarne alcuno veramente, si chiedeva se avesse mai scelto davvero qualcosa; questa domanda se la poneva spesso, ultimamente; viveva una urgenza interiore che la confrontava, la faceva sentire all’angolo, le imponeva, quasi, la visione del suo passato e quel che vedeva non era altro che una vita dignitosa ma povera di vero slancio; spesso
non aveva neanche voluto davvero sapere cosa preferiva o desiderava…
“Ciao Rose, che fai lì? Perché non vieni a dormire?” Arturo si era svegliato ed era venuto a cercarla.
Più tardi si addormentarono insieme, lui semplicemente appagato, Rose sfinita.
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“Biglietti prego!”, Paolo si svegliò di soprassalto, infastidito; stava tornando a casa ed era tardi. Aveva avuto mal di testa durante tutto il giorno ed ora aveva anche freddo e fame ed era infelice. La sua vita era senza senso, inutile; l’Universo, gli pareva, anzi, era, senza senso; soffriva di un malessere forte, misterioso e profondo che lo collegava al mondo in senso negativo: ne coglieva lucidamente tutta la volgarità, le brutture, le miserie, l’orrore. Non era difficile; un notiziario, un titolo qualunque colto da un giornale, un manifesto, un mendicante all’ angolo di una strada…tutto sembrava coagularsi sotto il suo sguardo in una visione che gli chiudeva lo stomaco e il cuore. Il cuore; già! quante volte aveva udito raccontare che il cuore fosse ritenuto capace di sentire e soprattutto di sentire amore, compassione, simpatia; ma per lui queste erano parole, e cuore era una parola vuota, il niente, l’inudibile. La testa invece, lui la sentiva eccome; gli aveva sempre fatto male, dacché ne aveva memoria. Il treno si fermò e stando attento ad evitare qualunque contatto, Paolo scese insieme a tutti e si affrettò, nella notte piovosa, verso il suo alloggio nel seminterrato in prossimità della stazione. Il lavoro in una tipografia di un paese a qualche chilometro di distanza era l’unico aspetto della sua vita in grado di farlo alzare ogni mattina e rientrare ogni sera. Ma non c’era nulla verso cui andare o rientrare; solo abitudine.
Quella notte sognò di essere seduto su una panchina, la panchina si trasformò presto in una bara e la bara, in cui si trovò sdraiato, scivolava velocemente lungo il pendìo di una collina, verso il mare; presto sarebbe caduta in acqua, un’acqua mossa dal gran vento, dalla burrasca…Paolo si ritrovò, prima di cadere in acqua, in bagno, in preda al vomito e alle vertigini. Poi si addormentò sfinito.
Erano le sette e Maurizio, come sempre, puntuale, alzava la saracinesca del suo bar. Era un bar piccolo ma sempre pieno, all’angolo fra due strade; forse per questo ci si entrava facilmente.
Di fronte , dall’altra parte , Eugenia aveva già ricevuto e sistemato i giornali nella sua edicola; e i biglietti per i mezzi pubblici, pronti. Un cenno della mano bastava, fra loro, per sapere che erano lì e un’altra giornata sarebbe scivolata via come tutte le altre. Giorni, giorni. Un tempo forse, tanto tempo fa, Eugenia si ricordava di aver letto di un’epoca in cui esistevano cose che si chiamavano filosofia; cosa fosse la filosofia lei non lo aveva mai saputo; forse nessuno ne sapeva più niente, tra quelli che avrebbero potuto averne memoria; lei, vagamente, ricordava che la filosofia cercava risposte ad una domanda che, in quei tempi, sarebbe stato ridicolo porsi. Cos’è la vita, a che serve e chi è l’uomo, chi siamo, che facciamo in questa serie di giorni, giorni, giorni.
Ecco, più o meno, quanto Eugenia ricordava ma subito fu distratta dal primo cliente: “Buongiorno Rose! Ecco i giornali per Arturo, salutamelo!”. Eugenia aveva centotrentaquattro anni e in quel tempo questo non aveva lo stesso senso che in altri tempi. Anche questo Eugenia lo ricordava. Ora, gli anni, i giorni, e i giorni, erano qualcosa privo di riferimento; da quando in tutti gli ospedali si praticava, a ritmo continuo e a spese della collettività che tutta ne beneficiava, la Rotazione degli Organi Rigenerati.
La Ror esisteva oramai da un paio di secoli; la pelle e tutti gli organi, venivano rigenerati in modo rapido e semplice. Da tempo, alla nascita, ad ognuno, venivano prelevate cellule di ogni più piccola parte del corpo, compreso il tessuto venoso e cerebrale; così era oramai abitudine mantenere giovani i propri organi con cellule proprie. Il comune di riferimento era molto solerte nell’inviare la cartolina di richiamo per il tal organo o l’altro.
“Ciao Eugenia, grazie”. Rose arrivò all’angolo opposto ed entrò nel bar di Maurizio.
Già, all’interno, si erano formati piccoli gruppi: due amici, al banco, si erano trovati per un rapido caffè; una donna con cagnolino al guinzaglio aveva attirato l’attenzione di un cliente mattiniero che si prodigava in complimenti alla bestiola, probabilmente attratto più dalla padrona che dal suo adorato Dog e, all’unico tavolino, tre infermiere del vicino ospedale; l’ospedale in cui era ricoverata la madre di Rose.
“Hai sentito?” disse una di loro rivolgendosi alla collega più vicina ma in modo che anche l’altra potesse sentire.
“Non si sa più cosa fare”, continuò, allungandosi un po’ col busto verso le colleghe, quasi a cercare uno spazio di segretezza, “ oramai sono molti; rifiutano la Ror e, come se non bastasse, espongono tutti noi al pericolo. Il degrado cui vanno incontro è tale che si ammalano di malattie a noi sconosciute, che non sappiamo curare. E’ uno scandalo, un atto terroristico! Rifiutare la vita, la salute…preferire il degrado! Non essere più se stessi! Ma com’ è possibile? Io non potrei mai guardarmi se fossi nello stato in cui si riducono…visi sfatti, gonfi o scavati; pelle a pieghe, orribile a vedersi, capelli radi, sguardi folli e incomprensibili: ma vi rendete conto? Gente che potrebbe avere una vita normale, essere se stessa, sempre…sono lì con l’affanno, il cuore che non và, i piedi e le ginocchia deformi, la schiena curva…non so, ragazze, tutto questo mi fa impressione e non so dove ci porterà!”. “ Hai ragione…” era pensosa, la più lontana delle tre,” a niente di buono, penso…”. Si alzarono, era ora di raggiungere l’ospedale, pagarono e salutarono con un cenno del capo quella donna che vedevano, ogni giorno, prendersi cura della madre: Rose.
L’ospedale, in quel tempo, non era luogo di cura delle malattie; in quel tempo, il concetto di malattia, di cui si poteva leggere in qualche testo antico, era quasi sconosciuto. Da quando la Scienza, unica religione riconosciuta, aveva introdotto il concetto di Vita Immortale grazie alla Ror, le malattie erano, comprensibilmente, scomparse. Gli organi del corpo non si potevano ammalare, venivano semplicemente rigenerati e, ognuno, pur invecchiando, aveva sempre trent’anni o meno. L’ospedale quindi, era, in quei tempi, meta di visite e ricoveri continui e a rotazione. Era il Centro. La popolazione negli ultimi trecento anni era aumentata pochissimo, vuoi per una diffusa apatia sessuale, vuoi perché, tre secoli prima, una drammatica morìa aveva decimato l’umanità: tutti coloro, milioni di esseri umani, che lavoravano al servizio o nell’industria del corpo e della sua salute erano rimasti in breve tempo disoccupati e il mercato del lavoro dell’epoca non era riuscito ed assorbire l’enormità della domanda. Oggi, pochi malesseri sussistevano; mal di testa, febbre, vomito…non vere e proprie malattie. Anche il concetto di dolore si era via via trasformato e, in buona misura, era scomparso.
L’ospedale sorgeva nel pieno centro abitato; ogni mezzo di trasporto pubblico prevedeva, pur nella differenziazione dei tragitti, una fermata davanti o nei pressi del moderno tempio ospedaliero.
“Ciao Rose, cara; sei venuta anche oggi! Mi fa tanto piacere vederti, come sta Arturo?”. “ Mamma, grazie, Arty sta bene ma io non so più come fare; ogni giorno invento una storia per venire a trovarti e…mamma!! Come faccio a dirglielo! Tu sei per noi una vergogna! Perché non lo vuoi capire e non la smetti di fare la contro rivoluzionaria?! Se si venisse a sapere che ti sei sottratta alla Ror tutti ci additerebbero come diversi, pazzi, sciagurati. Tu, con la tua follia, ti esponi all’attacco di virus sconosciuti e non solo hai forti probabilità di ammalarti ma potresti finire morta; capisci mamma? Morta! Ma perché?! Perché mi fai questo? Io non voglio perderti, non voglio che mi guardino male, non voglio che mi chiamino ‘la figlia della morta’. Mamma! L’umanità ha fatto così tanto per arrivare alla Vita Immortale…cosa vuoi fare? Cosa vuoi dimostrare?”
La povera Rose era prostrata dal dolore, rossa in viso per l’agitazione e sudata; amava sua madre ma quello che le stava facendo era troppo.
“ Figlia mia”, la madre era a sua volta agitata, consapevole del dispiacere che dava, “mi rendo conto, ma lo sai che non sono la sola ad aver rifiutato la Rigenerazione; oramai sono centovent’anni dacché ho cominciato, ne ho quasi centocinquanta e si affacciano alla mia mente pensieri che non so respingere, sensazioni sgradevoli che mi obbligano a pensare, anzi, ripensare la vita, la mia vita e la Vita in generale. Lo so che raramente hai sentito parlare di destino, di cambiamento, seconda e terza età, di malattia e di morte. Ma io sento l’urgenza di pensarci e non ho più voglia di sottopormi a qualcosa che non mi lascia libera di farlo; per poterci pensare, per poter sentire, ho bisogno di lasciare in pace il mio corpo e vedere che succede, anche se questo è sgradevole: so di essere inguardabile, so che non posso mostrarmi per strada, perché sarei una provocazione e turberei gli animi; ma credimi, figlia mia, la Ror mi lascia visivamente giovane ma quello che si vede non sono io…”.
Rose si infuriò: “ Ma come puoi parlare così! E’ proprio il contrario mamma! Con la Rigenerazione tu sei sempre te stessa, quella eri e quella sei; anzi, sei sempre e solo quella!”. “Mi dispiace Rose, no! Non hai vissuto ancora abbastanza per capire cosa sento e poi, lo vedi, il fatto che io non sia l’unica ad essermi sottratta ti dovrebbe far riflettere. Io osservo il mondo e mi sento tagliata fuori; tutto cambia, le stagioni, le foglie, il tempo, la luce e il buio; animali e piante hanno splendore e miseria, inizio e fine e nel mezzo esprimono la loro bellezza, il loro carattere, il profumo…io non posso; posso solo vivere giorni e giorni in cui nulla in me si altera, nulla di nuovo da pensare, da aspettare, da curare e seguire. C’è stato un tempo in cui anch’io ho creduto che la Rotazione degli Organi Rigenerati potesse essere la soluzione alle malattie, alla religione, alla paura della morte che un tempo fu così forte da spingere gli uomini di scienza a cercarvi rimedio. Ho studiato i testi antichi e ho scoperto che una volta nulla era determinato; esisteva più libertà, esistevano desideri che oggi sono scomparsi, esisteva il senso della sfida tra sé e la vita, da possedere, trasformare, dipingere, plasmare su pressione del Tempo, il grande ordinatore…quanta passione hanno vissuto i nostri progenitori!…poi una gelida corrente ideologica ha demolito tutto e unica Dea del mondo divenne Giovinezza. Con quella si comprava tutto: sesso, amore, lavoro, soldi, visibilità; tu non immagini che valore avesse un tempo la giovinezza! Oggi non esiste come concetto; essere giovani non è più un’ambizione ma un’abitudine. A quel tempo, per il valore della Giovinezza gli umani cominciarono a sottoporsi a veri e propri supplizi fisici; operazioni chirurgiche dagli effetti spesso catastrofici e irreversibili al solo scopo di rimanere e mostrarsi inalterati. Quello fu il preludio a quanto vedi oggi, alla Ror, che tu sai essere indolore e perfetta.” “ E con ciò, mamma, cosa vuoi fare? Vuoi farmi credere che il passato fosse migliore di questo presente? Di questo oggi? Se così fosse stato non saremmo arrivati qui, a questo. Non pensi che io abbia una qualche ragione?” a Rose piaceva discutere con sua madre ma questa faccenda obbligava anche lei a prendere una decisione: parlarne ad Arturo. Ma il rischio di essere rifiutata, quasi potesse essere contagiata da sua madre e contagiosa per il mondo circostante era alto e a Rose non era congeniale il prender posizione. Sua madre le imponeva di scegliere: o lasciarla al suo (voluto) destino, non vederla mai più e tacere o dirlo ad Arty
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Le macchine stampalaser sfornavano manifesti a quintali; un ignoto committente aveva pagato una grossa somma per questo lavoro e anche se il proprietario della tipografia aveva contestato il contenuto dei manifesti, alla fine di fronte alla prospettiva del lauto guadagno, aveva ceduto. Paolo era incaricato delle fasi finali della stampa e raccolta dei manifesti.
Quel giorno il mal di testa era lieve e non gli impediva di concentrarsi sul lavoro; si ritrovò quindi a leggere alcune righe di ciò che la macchina andava stampando.
Si trattava, per quanto gli pareva di capire, di un proclama, un annuncio drammatico e pericoloso:
“Una grave minaccia incombe su di noi!! Alcune persone si sono ribellate alla Rotazione degli Organi Rigenerati e l’Ente Ospedaliero ha dovuto, secondo le leggi vigenti, confinarle in alcuni locali lontani dal corpo centrale della struttura e garantire un gruppo di addetti alla loro assistenza ponendo i suddetti e noi tutti in gravissimo pericolo!! Non siamo in grado di affrontare le malattie mentali e fisiche legate all’invecchiamento né è possibile mutare il sistema di Rotazione degli Organi Rigenerati!!
Lo scenario che si apre prevede una vera catastrofe umanitaria!!
Occorre prevedere in tempi rapidissimi l’eliminazione fisica dei ribelli!!
Si fa appello al senso civile e si invita a ritrovarsi, all’alba del terzo giorno della settimana entrante, nell’area antistante l’ospedale per attuare insieme un gesto di Giustizia a protezione della vita della collettività, delle nostre famiglie, dei nostri bambini!!”
Paolo alzò le spalle in segno di rassegnazione; come sempre si trovava a dover guardare una realtà orribile e oscura e le conseguenze di un tale richiamo erano incalcolabili e inevitabilmente dolorose. Si avviò verso l’ufficio del proprietario per chiedere spiegazioni ma si fermò nei pressi della porta semichiusa, cogliendo al volo alcune parole che il capo stava scambiando col committente, il dottor Cìveli.
Rimase per un attimo immobile, spaventato: lui, il dottor Cìveli, lo conosceva bene!
Spesso era stato assistito da lui, durante la Ror e poi per il suo inguaribile mal di testa…allora era lui a volere l’eliminazione fisica dei ribelli?! Paolo capì che quanto aveva letto corrispondeva al vero e si mise a tremare. Battè in ritirata e finito il lavoro saltò in treno sparendo nella notte senza luna.
Gli eventi, nella storia degli uomini, fanno strani percorsi; parrà perlomeno bizzarro che in epoca così avanzata ( ma, ci si potrebbe chiedere, avanzata rispetto a cosa?) si dovesse ricorrere a manifesti e proclami da attaccare a muri e vetrine come nel lontanissimo Medio Evo o nella lontana Nuova Era. Come non ci fosse un mezzo più rapido e universale per contattare le persone, ovunque fossero. Pochi secoli prima questo era ancora possibile ma, coerentemente allo scopo di preservare la vita delle persone, si era valutato, molto tempo addietro, che l’umanità, fosse arrivata ad un parossismo…non si produceva più e l’economia andava al collasso; il tempo quotidiano, infatti, veniva utilizzato per comunicare, comunicare, comunicare; così i contatti, a quel livello, vennero resi impossibili. Certo, oggi, tutti erano dotati di piccoli apparecchi che in tempo reale informavano degli accadimenti di qualunque natura ma ogni informazione proveniva, identica per tutti, dal Corriere Centrale, unico organo deputato alla raccolta, composizione e rilascio delle informazioni. Questi mini-apparecchi, nipoti dell’antico computer, non permettevano la comunicazione orizzontale e circolare tra persone.
Nel momento in cui si srotola la nostra storia, si ricorreva dunque spesso alle affissioni pubbliche, in attesa che l’umanità ricordasse o improvvisamente riscoprisse di poter comunicare in altro modo.
Arturo guardava Rose mentre nervosamente si affannava, su e giù per la casa, a metter ordine; gli sembrava che lo facesse non perché davvero ce ne fosse bisogno ma per una urgenza interiore tutta sua. “Rose, che hai? Cosa c’è che non va?”, “Come sarebbe a dire, qualcosa che non va? E perché pensi questo? In verità questa casa fa schifo e tu non te ne preoccupi mai! Ho sempre tutto sulle spalle, io! Beato te che non vedi, non senti e non ti importa niente di niente…!” Rose era agitata e l’agitazione, causata da ciò che ben conosciamo, non le permetteva di rendersi conto della realtà; aveva paura di perdere anche Arty dopo che suo padre aveva lasciato la famiglia e sua madre sarebbe presto morta. Non era pronta per questi cambiamenti forti, netti; non potendoli comprendere e accettare si era posta in uno stato di resistenza, di opposizione confusa, dolorosa. Arturo sospirò, rassegnato; conosceva la sua Rose ma non sapeva aiutarla; anche in lui si agitava qualcosa che lo intrappolava: un sentimento di rifiuto per tutto ciò che non era lineare, netto, razionale. Uscì a prendere una boccata d’aria in attesa che, come altre volte, la furia di Rose si placasse.
Intanto nel reparto in cui era ricoverata e segregata la madre di Rose insieme ad altri che, come lei, pur di sottrarsi alla Ror erano disposti a cadere in un abisso chiamato morte, l’atmosfera non era delle più allegre; si era saputo, il passa parola è sempre risultato il filo velocissimo su cui scorrono le notizie, che entro qualche giorno la loro vita sarebbe stata nelle mani dei rivoltosi e del primario dell’ospedale.
Non vi erano, in quei tempi, Forze a difesa di alcuno; la Vita Immortale conquistata, aveva, nel tempo, imposto di sciogliere, per mancanza di lavoro, qualsivoglia Corpo addestrato alla difesa. Uno dei primi effetti della ribellione alla Ror era il possibile ritorno del pericolo e quindi della necessità di lavorare di nuovo per garantire la sicurezza dei cittadini da altri cittadini che sceglievano la morte e divenivano mentalmente contagiosi.
Il timore, anzi, il maggior terrore riguardava proprio il fattore mentale; le idee si propagano velocemente, stuzzicano; l’idea che ci si potesse ribellare alla Ror metteva quindi seriamente a rischio più di due secoli di conquiste scientifiche; un’idea come questa poteva insinuarsi negli interstizi, nelle pieghe della mente di molti, avvalendosi del fatto che sempre, l’uomo, dopo un periodo in cui una novità lentamente diviene abitudine, trovi eccitante, entusiasmante, poter cambiare; a volte tornare indietro per poter seguire un percorso diverso dal precedente o perché, semplicemente, si è dimenticato del passato che gli appare, perciò, nuovo e desiderabile.
Arturo se ne andava in giro, un po’ senza meta; era uscito per lasciare a Rose il tempo di sbollire lo stato d’animo in cui si trovava e, girovagando, si trovò a passare davanti all’edicola. “Ciao Eugenia!” Gli piaceva molto quella donna; la conosceva da sempre e la percepiva forte, lucida; giorno dopo giorno svolgeva il proprio lavoro senza lamentarsi mai; al contrario, accoglieva volentieri le lamentele e le confidenze dei vari clienti con i quali, lentamente, si era stabilito un rapporto intenso; aveva una risposta buona e costruttiva per ognuno e appariva serena e rasserenante. “Ciao Arty! Hai visto i manifesti? Che ne pensi?”. “No, Eugenia, non so di che parli…che succede?”. “ Eh, caro mio, le cose non vanno bene sai?! Pare ci siano dei ribelli asserragliati o imprigionati, non so… all’interno dell’Ospedale…”. “Ma perché, cosa succede? …ribelli? Che vuoi dire…”. “ Voglio dire che sta succedendo qualcosa rispetto alla Ror; c’è qualcuno, diverse persone pare, che non si sente più di stare nel protocollo…rischiano la morte e sai, entro breve, questo “virus” mentale può contagiare molti di noi; la Vita Immortale, così come la conosciamo, può essere in pericolo e così l’organizzazione sociale intera”. “Non riesco a crederci! Ma chi può essere così pazzo da rinunciare ad una buona vita?! Eugenia, io sono più giovane di te, ma dimmi…tu come ti senti? Tu hai più di centotrent’anni, mi pare…come va?”. “Bah! Non saprei…certo ci sono giorni in cui mi chiedo fino a quando sarò qui in edicola…essere sempre giovani indubbiamente è bellissimo ma…non so…ogni tanto mi trovo a pensare che manchi qualcosa…non so, una scadenza, una svolta, un angolo dietro al quale andare a scoprire qualcosa che non si vede; ecco, sì, ogni tanto sento come una nostalgia…ma non so dirti di che…”. “Accidenti, che disastro! Vado subito a dirlo a Rose che non sa niente! E tu, Eugenia ..stai attenta! La nostalgia ti renderà debole…mi raccomando…ci vediamo!” Arty si affrettò verso casa con sentimenti contrastanti; di grave preoccupazione da un lato e di sollievo dall’altro: presentarsi con una tale notizia avrebbe consentito a Rose di dimenticare il loro piccolo diverbio precedente.
Duina, la madre di Rose, si sentiva stanca; si sdraiò sul letto lasciando i suoi compagni di sventura a discutere della situazione. Sentiva il bisogno di isolarsi un momento sia per riposare sia per raccogliere sensazioni e pensieri. Qualcuno aveva riferito, all’interno del loro reparto, dei manifesti affissi ovunque e di cui oramai tutti conoscevano il contenuto.
A Duina pareva impossibile che i dirigenti dell’Ente Ospedaliero avrebbero permesso quanto nel manifesto si andava minacciando: l’uccisione dei ribelli.
Peraltro capiva che la paura di chi si sarebbe armato contro di loro e quella del primario e dei suoi colleghi avrebbe potuto essere un movente più che sufficiente a giustificare la loro uccisione.
Aveva a sua volta paura di soffrire ma soprattutto di far soffrire e poi…un groppo in gola al pensiero di Rose, la sua adorata figlia: morire era non vederla più.
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Si era già svegliato parecchie volte, quella notte; in uno dei rari momenti in cui la stanchezza e il sonno avevano avuto la meglio, aveva visto in sogno qualcosa che per lui somigliava al regno dei cieli. Paolo non capiva da dove gli venisse questo ricordo,
questa frase…il regno dei cieli…E ciò che aveva sognato era qualcosa cui forse nessuno aveva pensato: nel regno dei cieli era il caos totale; nessuna anima arrivava più da parecchio tempo e l’ordine celeste stava andando in pezzi. Con gli occhi sbarrati e affacciati su questa apocalittica visione di ciò che è in Terra e di ciò che è in Cielo, Paolo non poteva più prender sonno e gli sembrava, nel suo delirio febbricitante, di intuire che una catastrofe in Cielo dovesse preludere ad una catastrofe in Terra. Per la prima volta, e forse anche per primo, si chiedeva, forse grazie alla sua natura pessimistica, se l’avvento dell’era Ror non potesse davvero avere ripercussioni a tutti i livelli della Vita. Rileggeva dalla sua memoria il testo così disperato e violento del proclama omicida stampato nella sua stessa tipografia e gli pareva di cominciare a svegliarsi da un sonno mostruoso; il cuore gli batteva forte e stentava a mettere insieme i pensieri, rimanendo intrappolato nella sua visione .
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“Rose! Rose!” Arturo, rientrato in casa, la trovò che scriveva una lettera.”Ah! Sei tu Arty! Mi hai fatto paura..non ho sentito la porta…Ma che succede? Perché tutta questa agitazione!?” “Oh Rose! Sapessi! Sta succedendo qualcosa all’interno dell’Ospedale…pare ci siano alcuni ribelli che rifiutano da tempo il protocollo Ror…sono già in avanzato stato di vecchiaia, pare abbiano contratto un virus mentale che li fa scegliere l’autodistruzione…c’è grande paura di contagio! Siamo in pericolo Rose, amore ….” Le ultime parole quasi caddero dalla bocca di Arturo a sua insaputa, perché intanto si era accorto che Rose impallidiva e vacillando si accasciava sulla poltrona più vicina. Nella mano contratta stringeva il foglio su cui stava scrivendo quando lui era rientrato in casa; nel tenderlo, con enorme sforzo ad Arty, svenne.
Era notte ormai; un altro giorno finiva. Arturo e Rose, abbracciati sul divano, rimanevano muti davanti al televisore spento. Quando Rose si era ripresa non aveva potuto far altro che raccontare ciò che già stava scrivendo nella lettera; si era liberata di un peso enorme ma la consapevolezza della gravità di quanto stava per accadere e di quanto, a ruota, sarebbe potuto accadere, li aveva sopraffatti. Adesso per fortuna erano in due ad affrontare la situazione; Arturo aveva reagito con sorpresa, incredulo dapprima e poi sconvolto, ma non aveva manifestato l’intenzione di lasciarla; Rose sentiva il suo amore ma si rendeva conto che il pericolo del contagio era elevatissimo e temeva che Arturo sarebbe scappato lontano per non rischiare.
Occorre, qui, una piccola pausa; può sembrare strano ed esagerato il timore del contagio…ma occorre sapere che il dubbio, invisibile in sé, ha una potenza superiore a quella di un germe, di un virus; il dubbio, così come un’idea, “attacca” il cervello degli esseri umani ed è in grado di condizionarlo fortemente nelle due direzioni del bene o del male. Un dubbio può portarti alla soluzione, a star meglio, ma può anche distruggerti, paralizzarti, inibirti; e tutto ciò non è mai senza conseguenze. Più semplice sarebbe riuscire a non ospitare il dubbio. Tutto resterebbe fuori. Per questo Rose temeva che Arty potesse fuggire lontano da lei; per il timore di essere contagiato da ciò che Duina andava manifestando.
Duina, stesa sul letto, ripensava alla sua lunga vita; trambusto e voci dalle stanze accanto non le impedivano di immergersi nel passato; avrebbe voluto tornare a prima, a quel tempo in cui il suo corpo forte, giovane e sano rappresentava il suo benessere, la sua religione, si potrebbe dire; al tempo in cui poteva succedere di tutto ma, anche, in cui la certezza della vita smorzava tutto; in fondo, perché disperarsi se c’era sempre tempo… soprattutto un tempo che manteneva il corpo sempre uguale a se stesso.
Duina, appesantita oramai da una vecchiaia galoppante, provava nostalgia profonda per quel passato fatto di certezza elementare, eppure le sembrava anche bello sentire nostalgia, rimpianto; sentimenti nuovi, per lei, ma subito riconosciuti; come se avessero sempre fatto parte della sua natura ma, prima, non avesse potuto sentirli.
Rivide il momento in cui il padre di Rose le aveva lasciate, incamminandosi per altre strade che le escludevano e lei aveva dovuto far fronte al dolore di Rose ancor prima che al proprio. Un dolore però fortemente mitigato, appunto, dalla certezza che ci sarebbero state infinite possibilità…certezza che la vita aveva il tempo di portare altro e altro ancora…rivedeva Rose piccola e poi il momento in cui le loro età si erano raggiunte, confuse, quasi. E benché stesse patendo gravemente nel suo corpo ormai deformato, ribadiva a se stessa che la decisione di sottrarsi alla ROR le sembrava la più naturale e giusta. Sapeva che nel remoto passato, gli uomini, anche se sempre meno in verità, avevano saputo affrontare la fine, la morte. Dunque la morte non era stata così sconosciuta al genere umano; se ne erano solo perse le tracce e questo la confortava enormemente: “Altri ce l’hanno fatta…saprò affrontarla ..”. Un branco di scalmanati, per lo più parenti o amici dei “malati”, erano riusciti ad entrare nel padiglione in cui erano stati confinati i ribelli, in verità assai pochi ; si trattava di undici persone tra uomini e donne….Duina si spaventò e temette che qualcuno potesse farle del male e ucciderla mentre il suo desiderio era di percorrere fino in fondo ciò che la natura avrebbe fatto del suo corpo; il rischio che il proprio sacrificio avrebbe potuto non compiersi fino in fondo addolorava profondamente Duina e i suoi compagni; vivere ed esplorare quella dimensione ormai dimenticata del decadimento e della fine,era, in fondo, la loro unica ricompensa.
Come se ad un esploratore fosse stato precluso e vietato avvicinarsi alla meta ormai vicina. Gli scalmanati, entrati a forza, furono a loro volta sconvolti da una visione nuova e alla quale non erano minimamente preparati: la vecchiaia.
E la sorpresa li ammutolì. Non sapendo come comportarsi, fuggirono.
E così Duina ebbe il tempo di entrare in un antico stato d’animo: la nostalgia.
Da dove avesse “pescato” questa definizione non sapeva ma proprio questo le sembrava stupefacente, importante; il rendersi conto di un mondo di sensazioni dimenticato e sepolto all’interno di sé. Si lasciò trasportare e cullare da un’onda emotiva intensa e dolorosa fatta di volti, di risate, di odori e sapori e sentimenti per la casa della sua infanzia, un angolo del giardino in cui aveva sotterrato un passerotto trovato morto una mattina d’inverno; ricordò come allora percepiva il mondo, il piccolo mondo intorno a lei e si rese conto di quanto fosse stata felice e di come le sue percezioni fossero cambiate in seguito alle prime sedute di ROR. Una nebbia di apatia aveva lentamente avvolto i giorni della sua vita e ora ne era consapevole. La certezza del vivere aveva il potere di smorzare e appiattire soprattutto la gioia del vivere; si rese conto che la gioia derivava da una serie di incroci degli eventi che, nel suo primo tratto di vita, venivano percepiti come irripetibili, mai più riproducibili e perciò esaltanti, euforizzanti. Mentre dopo…quando le venne imposto il trattamento per la vita immortale, ogni cosa aveva smesso di essere unica e irripetibile; tutto aveva il tempo di riprodursi per sempre e tutto quindi aveva perso colore, intensità. Duina si sentì stanca ma di una stanchezza fisica, naturale e ben diversa dalla stanchezza che da così tanto aveva invaso il suo cuore ed ebbe così la certezza del tempo trascorso dalla sua nascita. Ne ebbe un fremito di paura ma anche di significato, adesso la vita le pareva ritrovare un senso: il senso che può dare il Tempo.
Il Paese intanto era in subbuglio. La notizia stava facendo il giro delle città, delle case, dei cuori e delle menti. Come sempre, le voci, incontrollabili, qui raccontavano una cosa, qui un’altra…chi aggiungeva un particolare e chi lo toglieva; si riferiva di nuovi mostri all’interno dell’ospedale, di sostanze tossiche…molti non si presentarono al richiamo ROR; l’ignoto e il mostruoso si rivelavano barriere insormontabili e, non per scelta ma per paura, creavano uno sconvolgimento nel ritmo dei trattamenti.
Eugenia quella sera, nel chiudere la sua edicola, visse una sensazione strana che volle chiamare felicità; tutto il giorno aveva incontrato persone e clienti ed erano svanite le convenzionali barriere tra loro; ognuno chiedeva, parlava, argomentava, sentenziava…tutti desideravano incontrarsi, avidi di notizie vere o finte che fossero; avidi di emozioni, belle o brutte che fossero; avidi di una comunanza data dal pericolo sconosciuto e incombente su tutti. Eugenia non poteva dirlo ma tutto ciò la rendeva felice.
Così in terra. Nei cieli si era in pieno nell’Era Arida: tutto si stava disseccando, i collegamenti fra le varie dimensioni erano rari e difficili e si era prossimi al crollo finale. Mancavano anime.
Paolo era oramai disturbato ogni notte da visioni apocalittiche e il mal di testa, se possibile, aumentava di ora in ora. Pensò che il suo snervante malessere fosse direttamente collegato a quanto stava avvenendo all’Ospedale e decise che si sarebbe presentato, come richiesto, all’alba del terzo giorno della settimana entrante. Non sapeva esattamente perché volesse andarci ma lo stato di sofferenza era tale da indurlo a seguire una sorta di suggestione interiore, una sorta di fiducia sognante…quello era il posto dove avrebbe trovato una risposta. Nel suo seminterrato a due passi dalla stazione, due stanze misere e pulite, dimenticandosi la luce accesa, finalmente si addormentò, abbandonandosi alla sua decisione.
Rose non aveva più bisogno di fingere strane uscite ad ore improbabili. Quella sera, così vicina all’alba del terzo giorno della settimana, non andò da Duina, sua madre ; rimase a parlare con Arturo. Entrambi erano spaventati e per la prima volta affrontarono insieme la questione: era giusto quanto Duina stava lasciando accadere? A che serviva? Ne valeva la pena? Che ripercussioni avrebbe avuto su tutti loro? Come dovevano comportarsi?
Uscirono nella fresca notte autunnale; ancora si potevano incontrare piccoli gruppi di persone che sostavano, chiacchierando, lungo i marciapiedi. Rose volle avvicinarsi ad alcuni, intenti alla lettura di un manifesto e quando anche lei, letto, ne capì il senso, dovette appoggiarsi ad Arturo per non cadere, per non lasciar trapelare nulla del suo dolore e della sua diretta implicazione nei fatti di cui tutti oramai discutevano.
Temeva infatti un linciaggio. Lei e Arty presero una laterale che finiva per affacciarsi sul lungofiume e sedettero su una panchina. Rimasero vicini, silenziosi, ascoltando ognuno il dipanarsi dei propri pensieri, consapevoli del reciproco differente approccio al grave problema. Rose rivolse gli occhi al cielo stellato cercando conforto e un’idea, un’ immagine da seguire, a cui aggrapparsi; Arturo si pose con attenzione ad esaminare razionalmente ogni sfaccettatura del problema. Due corpi vicini, due vite insieme, due modi completamente differenti di esistere.
L’alba del terzo giorno. Pareva un giorno come tutti gli altri, uno di quella infinita, eterna sequenza di giorni e giorni che gli uomini andavano vivendo sulla terra da quando la ROR era entrata nella loro vita, anzi, direttamente nei corpi e quindi nella psiche e nell’anima. Rose si svegliò e come spesso accade poté godere di qualche secondo di amnesia completa e semplicemente sentirsi bene. Quando riebbe consapevolezza della realtà si alzò di scatto e svegliò Arturo.
“Dobbiamo andare, presto!!” intanto si vestiva ed in pochissimo fu già pronta.
“Arty!! Cosa fai?! Perché non ti alzi! Facciamo tardi!”.
Ma Arturo era immobile nel loro letto e non pareva avesse alcuna intenzione di muoversi. Rose dovette fermarsi; capì e avvertì un senso di angoscia fortissimo:
ecco che Arturo la stava abbandonando. Poteva capirlo, non era sua madre, Duina.
E aveva certamente paura del contagio. Evidentemente le riflessioni della sera precedente avevano portato Arturo a questa immobilità. Rose si ritrovò sola; in quella solitudine tipica dell’essere umano quando scopre che l’altro è un altro, davvero un altro. Che l’altro ha idee e comportamenti differenti e una strada da percorrere differente da ogni altra. Rose, come quasi tutti, viveva l’illusione, attraverso l’amicizia, l’amore, lo stare insieme…che non si fosse soli. Dovette sedersi un attimo e decidere se abbandonarsi ad una scenata in un misto crescente di aggressività e dolore….aggressività nel tentativo di portare Arturo alla sua ragione e dolore per la differenza, l’ incomunicabilità, la solitudine. Il suo corpo dolorante e sudato reagì; cominciò a vomitare violentemente e mentre era scossa da brividi e spasmi prese la sua decisione. Rinfrescatasi il viso e la bocca uscì velocemente lasciandosi Arturo alle spalle.
Eugenia la vide passare di corsa e si stupì che non ricambiasse il suo saluto.
Nella piazza antistante l’Ospedale si era già radunata una folla impaurita e quindi aggressiva, vociante, bellicosa come Rose in vita sua non aveva mai vista. Aveva lo stomaco stretto in una morsa dolorosa ma si sentiva, per la prima volta, decisa, decisa a tutto. Aveva sentito, mentre vomitava e si contorceva negli spasimi, il legame fortissimo con Duina, sua madre e aveva capito che era l’unica cosa in cui credere.
Dovette spingere, e premere, scansare, sgomitare e utilizzare tutta la sua forza per farsi largo in quel vociante assembramento umano e questo le fece bene; si sentì più forte, decisa ad essere anche brutale pur di raggiungere l’interno dell’Ospedale e sua madre. All’imbocco del corridoio che portava al reparto isolato trovò una schiera tra medici e infermiere che cercò di fermarla; trovò la forza di dire chi fosse sua madre e la lasciarono passare, corse per raggiungere Duina che si trovava un po’ defilata dal gruppo dei dieci suoi compagni e mentre ancora correva capì che la folla urlante e impaurita aveva rotto gli argini e un numero incredibile di persone stava correndo nella sua stessa direzione; Paolo, spaventato, si trovava nel gruppo di testa, trasportato fin lì contro una sua volontà precisa e correva anche lui lungo il corridoio che Rose stava appena finendo di percorrere. Tutto, come si suol dire, avvenne in un attimo: alcuni della folla inferocita, tirati fuori lunghi coltelli affilati, sorta di pugnali leggeri e maneggevoli, li scagliarono in fitto numero contro i ribelli, Rose vide e nel tratto finale che la portava verso sua madre si gettò fra lei e un pugnale in arrivo ma a sua volta Paolo si gettò fra il pugnale e Rose. Urla disumane si levavano dal gruppo dei feriti a morte e anche dalla folla e le loro urla si confusero. Duina, in mezzo a tanto, troppo dolore, incredula si accasciò a terra; vicino a lei Paolo, trapassato dall’affilatissimo pugnale, morente, e Rose ferita di striscio e sanguinante. Nella confusione totale e un forte e nauseabondo odore di sangue, come in una nascita dolorosa, Duina morì, il suo cuore non resse tanto dolore ma fece in tempo a capire che Rose avrebbe continuato a vivere. Paolo non sentendo invece e finalmente alcun dolore ma trovandosi, al contrario, in uno stato di benessere fu felice di aver seguito il suo istinto che lo aveva portato fin lì e gli sembrò, in un soffio, di aver trovato ciò che cercava; morì in mezzo a tutti quei corpi sparsi a terra.
Rose venne portata via in barella dagli infermieri che finalmente avevano raggiunto la stanza degli omicidi e fu curata. Guarì dalla sua ferita in una quindicina di giorni; il dolore per la morte di sua madre era per lei, come per tutti, un dolore sconosciuto. Fu violento e intenso e la sua vita, come la vita di una moltitudine di persone, ne fu cambiata. Le domande e i dubbi che furono di sua madre trovarono spazio nel suo cuore provato ma, insieme, anche la capacità di decidere della sua vita. Superato il lungo periodo di convalescenza del corpo e poi del cuore decise anche lei come migliaia di persone di non sottoporsi più alla ROR. Le autorità dovettero prenderne atto e dopo un tentativo fallito di soffocare la ritrovata capacità, per molti, di scegliere in proprio, accettarono e stabilirono che sottoporsi alla rigenerazione degli organi potesse essere deciso da ognuno individualmente. Il mondo di Rose e che fu di Duina, cominciò a cambiare e l’umanità si incamminò, come sempre, verso il suo nuovo futuro.
Il cielo risplendeva sugli uomini e invisibili sorrisi benedicevano le loro morti e le loro nascite.
Domenica 7 Ago 2022 Buon giorno signora Chiara, ho terminato di leggere questo suo bel racconto pubblicato in 5 puntate dalla Prealpina. Le faccio i sinceri complimenti per la fantasia e la morale contenute nel testo. Continui a scrivere e si faccia pubblicare dalla Prealpina. La rileggerò volentieri. Cordiali saluti. Franco Banfi – Alta Valle Intelvi (CO)