In concorso: “La memoria del cuore”
“In cosa credi consista il tradimento? Nell’ andare a letto con qualcuno, o nella possibilità di distruggere, andandoci, la felicità di qualcun’ altro?”
L’ indice di Arnold continuava a sottolineare quella frase, ossessivamente. Stava compiendo quel gesto in maniera compulsiva da ormai 5 minuti come se, toccando quelle parole, potesse trovare la risposta al quesito che lo dilaniava. La sua mano era sudata ma niente nel suo aspetto faceva trasparire l’ agitazione che aveva addosso. Era impeccabile come sempre: brillantina nei capelli, abbigliamento casual ma ricercato, acqua di colonia che gli conferiva un profumo irresistibile.
Fingendo che fosse una mattina qualsiasi, era entrato nel solito bar e si era seduto al solito tavolo. Aveva ordinato il solito caffè e aveva tirato fuori un libro dalla sua borsa. Era il suo libro preferito. Ma quella mattina leggere non gli era stato di aiuto. Anzi. Quella maledetta frase non aveva fatto altro che fomentare le sue angosce.
“In cosa credi consista il tradimento? Nell’ andare a letto con qualcuno, o nella possibilità di distruggere, andandoci, la felicità di qualcun’ altro?”
Sebbene la sua professione l’ avesse abituato a dissimulare perfettamente le emozioni, quel giorno non c’era nulla che potesse calmarlo, nemmeno la lettura. Quella non sarebbe assolutamente stata una giornata qualunque. Ne prese atto. Si guardò intorno, quasi temesse che qualcuno fosse in grado di percepire la sua ansia. Ma nessuno sembrò curarsi di lui. Non aveva di che preoccuparsi. Afferrò con una mano la tazzina di caffè che si trovava sul tavolino. Emanava un profumo molto intenso che contrastava con l’ aria asettica tipica del bar dell’ ospedale. “Chissà da quanto tempo me lo hanno portato” pensò realizzando di essersi completamente perso nella lettura. L’ altra mano non aveva smesso un secondo di muoversi da quel passo del libro. Si convinse che quel tic nervoso potesse tradirlo. Se qualcuno se ne fosse accorto si sarebbe certamente insospettito. Era un atteggiamento anomalo per lui, noto per essere il più imperturbabile di tutti, lì dentro. Chiuse in fretta il libro e dopo aver fatto un profondo respiro assaporò il suo caffè, ormai completamente freddo.
“Buongiorno dottor Brown, la solita brioches?” la voce della sua specializzanda era l’ ultima che avrebbe desiderato sentire in quel momento così delicato. La dottoressa Hall era quel tipo di persona che nessun primario, men che meno lui, avrebbe voluto trovarsi tra i piedi. Era preparata, su questo non c’erano dubbi. Ma era anche dannatamente bella, aspetto che la rendeva potenzialmente molto pericolosa. Arnold ne era consapevole. Quella mattina sembrava che lei fosse arrivata apposta per rendergli ancora più indigesta la colazione, quasi che il caffè freddo non fosse stato abbastanza.
“No grazie Claire, ho lo stomaco chiuso” le rispose alzandosi dal tavolino. Lei gli si avvicinò e toccando leggermente la sua spalla gli chiese con tono affettato “Non sarà mica per via di sua moglie? Mi hanno detto che oggi non verrà, è successo qualcosa?“. Arnold ebbe un brivido alla schiena ripensando alla sera precedente. “No, Jackie sta bene. Ha solo un po’ di febbre. Domani rientrerà” si affrettò a dire. La sua voce era leggermente tremolante. Se ne accorse e capì di doversi allontanare all’ instante per non far trapelare nessun segno di agitazione. Non doveva rovinare tutto proprio adesso. “Ci vediamo tra mezz’ora in sala operatoria Claire. Puntuale mi raccomando” disse rivolto alla sua specializzanda. Claire era la migliore, Arnold si fidava di lei. L’ aveva assegnata a quel turno di proposito. Se la sarebbero cavata alla grande insieme. Guardando il primario allontanarsi, gli occhi della dottoressa Hall si posarono sul libro che aveva in mano. “Follia” di Patrick McGranth. Quello che la dottoressa ignorava era che quel titolo rispecchiava perfettamente quello che sarebbe successo di lì a poche ore. Una follia.
A pochi isolati di distanza Jackie si rotolava ancora nelle coperte. Non era sua abitudine dormire fino a tardi. Lei era una di quelle donne che aveva costantemente l’esigenza di essere efficiente. Come se, riempiendo di azioni tutte le sue giornate, non volesse trovare il tempo di soffermarsi su ciò che le mancava e su quello che provava. Quella mattina però era diverso. Uno strano malessere l’ aveva costretta a letto, dandole la possibilità di pensare. Era un lusso che non voleva mai concedersi quello di riflettere, quasi avesse paura di ascoltare ciò che il dialogo con se stessa avrebbe potuto suggerirle. Forse quel malore era davvero l’ occasione per fare un bilancio della sua vita, anche perchè ormai i 40 anni erano vicini. Si alzò dal letto e si ritrovò completamente nuda davanti allo specchio della camera matrimoniale. Aveva insistito lei per comprare l’ armadio con la specchiera. Le sembrava che le ante a vetro rendessero l’ ambiente più spazioso. “Era meglio un armadio di legno. Mi avrebbe risparmiato questo scempio. Lo dovrò fare sostituire ad Arnold” pensò osservando la sua immagine riflessa. Per fortuna le persiane erano ancora chiuse e dalle fessure entrava solo una debole luce. Quella che bastava per intravedere i suoi seni non più floridi e le sue forme un po’ appesantite dall’ età, ma che non era sufficiente a mettere in risalto la cellulite e il colorito opaco della pelle. Forse era colpa del forte mal di testa ma Jackie, guardandosi, rimase fortemente perplessa. Era confusa. Perchè era nuda? Lei dormiva sempre col pigiama.
“Strano” pensò prima di avviarsi in cucina. Lì trovò i resti della cena della sera precedente. I piatti, ancora sporchi, erano nel lavandino. Quella vista le suscitò un certo fastidio. Proprio lei che era sempre così precisa e meticolosa, come aveva fatto a dimenticare di lavare i piatti? La testa continuava a pulsarle. Forse doveva essersi sentita male già la sera prima e per questo si era coricata senza avere il tempo di rassettare e di mettere il pigiama. Doveva essere andata così. Istintivamente il suo sguardo si posò sull’ orologio appeso al muro e si rese conto che segnava le 11. Oddio quanto aveva dormito! A quell’ ora i suoi colleghi si stavano sicuramente preparando per operare. Immaginò che suo marito avesse avvertito l’ ospedale della sua malattia, ma la confusione in cui era piombata, unita al senso del dovere, la spinsero a chiamare la segreteria per accertarsi. Dall’ altro capo del telefono le rispose India, la responsabile del personale, che ovviamente era già a conoscenza della situazione. “Non si preoccupi dottoressa, suo marito ci ha avvisato. Oggi la sostituirà lui. Si riposi”. Jackie pensò che era proprio fortunata ad avere un marito che fosse in grado di rimpiazzarla. Non era facile essere al suo livello. La sera gli avrebbe senza dubbio chiesto dettagli sul suo operato. “Mi ricorda che intervento c’è in programma oggi?” chiese Jackie alla segretaria. “E’ previsto il trapianto di cuore della paziente Ilary Thomson, dottoressa. Dovrebbe iniziare a minuti. Buona giornata”. Nel sentire quel nome la testa di Jackie iniziò a pulsare ancora più forte.
La zona filtro gli era sempre piaciuta. Era l’ ambiente ospedaliero che preferiva. Lo confortava l’ idea che ci fosse un posto che fungesse da ponte tra due realtà distinte. Una sorta di collegamento ma al tempo stesso un limbo. “Che bello se ci fosse anche nella vita una zona filtro” pensò Arnold entrando nella camera sterile. La procedura che precedeva l’ intervento la conosceva a memoria, ormai erano anni che la ripeteva tutti i giorni. Si sfilò lentamente i vestiti di dosso, li piegò con cura e li ripose nel suo armadietto. Si avviò lentamente nell’ ambiente destinato al lavaggio e alla sterilizzazione delle mani. Quella mattina persino l’ acqua gli sembrava pesante. Eppure i saponi erano gli stessi che aveva sempre usato. Era lui a percepire le cose diversamente, a quanto pareva. Una volta terminata l’ igiene indossò la sua divisa: berretto, mascherina, casacca verde con le maniche corte e calzari di plastica. In un certo senso era quello il suo filtro col mondo, pensò. Non sapeva se quella divisa fosse sufficiente per separarlo da tutto ciò di cui avrebbe voluto liberarsi, di sicuro però quel giorno sarebbe stata la barriera tra lui e la sua paziente. La divisa sarebbe stata la sua protezione. Quella mattina avrebbe dovuto proteggersi da molte cose, soprattutto da se stesso e dai ricordi.
L’anestesia le entrò in circolo lentamente, quasi volesse lasciarla un bel po’ in quel limbo, sospeso tra la realtà e il sonno. Gli infermieri l’ avevano avvertita che avrebbe perso lentamente ogni riferimento spazio- temporale per arrivare in una dimensione di profonda incoscienza. Sarebbe stato possibile che in quella condizione avrebbe rivisto alcuni momenti particolarmente emozionanti della propria vita. Accadeva così a molte persone, le avevano detto. Ilary Thompson ne aveva sorriso consapevole che a lei non sarebbe successo. La sua patologia infatti l’ aveva da sempre difesa dalle emozioni. Il suo cuore era particolarmente fragile, doveva prendersene cura – le avevano comunicato all’ età di sei anni i medici. E lei aveva fatto questo per tutta la vita. Si era allontanata da tutto ciò che potesse essere potenzialmente pericoloso per il suo debole cuore. Aveva evitato qualsiasi tipo di sport e di fatica fisica. Aveva seguito un’ alimentazione equilibrata e aveva regolarmente assunto le medicine prescritte. Ma più di ogni altra cosa aveva eliminato dalla sua vita le emozioni. Sapeva che per lei sarebbero state fatali. Non si era mai data la possibilità di sperimentare cosa fossero la felicità, la tristezza, la gioia, il dolore. Aveva vissuto a metà, non vivendo mai davvero. Crescendo si era convinta che l’ apatia emotiva che aveva sviluppato fosse l’ unico modo per sopravvivere alla malattia ed era persino arrivata a volere bene alla sua patologia. In fin dei conti l’ aveva protetta dalla sofferenza e aveva reso il suo animo imperturbabile. Soltanto una volta aveva messo in serio pericolo il suo cuore e si era ripromessa di non farlo mai più. Era stato quando aveva conosciuto l’ amore. Gli si era accostata quel tanto che le era bastato per capire che, per lei, sarebbe stato troppo pericoloso. Così aveva rinunciato. Tra una vita emozionalmente instabile e un’ esistenza piatta ma sicura aveva scelto la seconda. E ad oggi non era affatto pentita.
Arnold entrò in sala operatoria. Era tutto pronto. La dottoressa Hall era seduta in postazione e controllava i parametri vitali della paziente sul monitor. Un “bip-bip” regolare indicava che i battiti cardiaci della signora Thomson erano nella norma. Un ottimo segno, si poteva iniziare a intervenire. Con tutta la professionalità di cui era capace Arnold si avvicinò al lettino su cui giaceva la paziente e sollevò il lenzuolo che la ricopriva. L’ impatto con la donna fu così devastante da costringerlo immediatamente a sedersi. Le gambe gli stavano tremando. Non era tanto vederla nuda che l’aveva impressionato. Ma il suo odore. Esattamente lo stesso di 30 anni prima. Lo avrebbe riconosciuto in qualunque circostanza. Ne era profondamente dipendente. Lo era sempre stato. Aveva cercato quell’ odore dovunque in quegli anni e adesso finalmente lo poteva respirare a pieni polmoni. Era una sensazione destabilizzante. Arnold si concesse un respiro profondissimo e molto lento. Non voleva perdere neanche un po’ di quel profumo. Il tempo non era riuscito a cancellare ciò che il cuore non aveva mai dimenticato. D’altronde il suo lavoro glielo aveva insegnato bene: il cuore aveva una memoria che andava oltre qualsiasi altra cosa.
“Io ti amerò per sempre. Ti prometto che troverò il sistema per guarire il tuo cuore malato e farti innamorare ancora di me “. Quelle parole riecheggiavano nella mente addormentata di Ilary Thompson. Era proprio come le avevano detto gli infermieri. L’ anestesia riportava a galla i momenti più emozionanti della vita. Quella frase aveva sugellato l’ unico istante di felicità che avesse mai provato nella sua esistenza. Era stato in quel momento che aveva percepito l’ amore. Lui era stato il suo compagno di banco alle scuole elementari. Non era particolarmente bello ma in lei aveva suscitato qualcosa di nuovo, di strano. Era il bambino più bravo di tutta la classe e spesso le raccontava aneddoti curiosi su come funzionava il mondo o sull’ origine delle parole. Lei ne era molto affascinata ma la stessa cosa non si poteva dire degli altri compagni. “Arnold culo, Arnold culo” gli gridavano a ricreazione lanciandogli in faccia il pallone. E spesso gli rubavano la merenda lasciandolo a pancia vuota. Lui non pareva soffrire di tutto ciò, a dire il vero. Nel tempo aveva imparato a schermarsi da quello che poteva creargli dolore. Non gli importava di cambiare pur di farsi accettare, stava bene nel suo mondo. Un mondo che per lei era misterioso e affascinante. Lei non sapeva il perchè ma il suo istinto le aveva suggerito che le loro anime erano simili. Era come se non avesse bisogno di altro per essere felice. Così, al momento di scegliere il suo posto, aveva indicato alla maestra quell’ unico banco rimasto vuoto accanto a quel bambino solitario ma per nulla triste.
Nel tempo i due bambini si erano avvicinati sempre di più fino a quando Arnold, alla fine della quinta elementare, non l’ aveva spiazzata dichiarandole il suo eterno amore. Lei sentiva di essere felice con lui e sapeva che sarebbe potuto nascere qualcosa di bello tra loro. Ma il suo cuore non poteva legarsi a nessuno. Era un rischio troppo grosso. D’ altra parte Arnold era solo un bambino. Crescendo si sarebbe certamente dimenticato di lei e sarebbero tornati a essere due estranei. Così gli aveva detto che no, lei non lo poteva amare perchè il suo cuore era malato e col tempo lei sarebbe diventata solo un lontano ricordo per lui. Quello che Ilary Thompnson non poteva sapere era che quel bambino non aveva mai dimenticato quella promessa d’ amore e proprio in quel momento la stava mantenendo. Quel bambino aveva scelto di fare il dottore perchè voleva curare la bambina che gli aveva rubato il cuore. E proprio a lei in quel momento ne stava regalando uno nuovo. Un cuore sano, forte e robusto che le potesse permettere di vivere le sue emozioni e innamorarsi nuovamente di lui, come era successo 30 anni prima in un’ aula di scuola elementare.
Il corridoio che portava nelle stanze del reparto di cardiochirurgia era affollato di persone. Era tutto un vociare di visitatori desiderosi di incontrare i loro cari. Le infermiere si fecero largo tra la folla: “E’ il turno delle visite mediche, siete pregati di accomodarvi fuori” disse una di loro facendo uscire la gente. A quel punto in reparto piombò il silenzio. Nell’ aria c’era solo il rumore dei calzari dei dottori che camminavano.”Claire, come è andato l’ intervento di ieri alla signora Thompons?” chiese Jackie interrompendo quel silenzio.”Bene dottoressa suo marito ha fatto uno splendido lavoro” rispose la dottoressa Hall. “Non avevo dubbi. Dammi la cartella clinica della paziente, vado nella sua stanza per accertarmi di persona che stia bene. Tu prosegui pure il giro”.
Jackie entrò nella stanza da sola. Voleva guardare in faccia la donna che aveva rubato il cuore di suo marito. Quella donna che lei aveva provato così tante volte a sostituire, ma senza successo. Chissà cosa aveva di tanto speciale. “Buongiorno signora Thomposon, come sta?” la sua voce tradì l’ emozione che in quel momento la stava attraversando. “Salve dottoressa, l ‘intervento è andato bene. Adesso la parte difficile sarà iniziare una nuova vita, insomma ho paura che non sarò più la stessa persona di prima. Ho un cuore nuovo, chissà quante cose cambieranno. Magari odierò cose che prima amavo, o mi piaceranno cose che ho sempre odiato… sono un po’ spaventata dallo scoprire la mia nuova me” rispose la signora dal suo letto. “Non si preoccupi, posso solo dirle che il nuovo cuore non sostituirà la sua anima. Ed è proprio lì che sono collocate le cose più importanti di lei. Dovrà solo sintonizzare la sua anima sulle nuove frequenze cardiache, ma non si spaventi sarà un meraviglioso cammino”. Jackie non sapeva da dove le fossero uscite quelle parole, era sicura che avrebbe provato rabbia o gelosia invece non c’era spazio per quei sentimenti in lei. Prima di congedarsi dalla sua paziente fece quello che le serviva per chiudere il cerchio. Non voleva lasciare nulla in sospeso. Dalla tasca del suo camice estrasse un libro e lo porse alla signora. “Sono certa che questa lettura sia più utile a lei piuttosto che a me. Buona fortuna per tutto”. Ilary Thompson posò lo sguardo su quel libro: “Follia” di Patrick McGranth. Un brivido inaspettato la colse di sorpresa. Avrebbe voluto domandare alla dottoressa il perchè di quella strana sensazione ma non ne ebbe il tempo. Lei se ne era già andata.
Cara Ilary,
tu non mi conosci, ma questo non è un problema: non so più nemmeno io chi sono. Ti posso dire con certezza quello che avrei dovuto essere: il medico che ti avrebbe dovuto regalare un cuore nuovo e una moglie felice. Non sono riuscita ad essere nè uno nè l’ altro. Ma non è colpa della vita, lei è stata genorosa con me. Ho amato un uomo, con tutta me stessa. L’ ho amato sicuramente al meglio delle mie possibilità. Ma non è stato abbastanza. Non posso dire che lui non mi abbia amato. Non ha mai finto nei suoi sentimenti. Non mi ha mai preso in giro consapevolmente. Non mi ha mai detto che mi amava non credendoci. Non mi ha sposato dubitando del suo amore, lui era convinto di amarmi. Ci ha provato davvero ad essere felice con me. Ce l’ ha messa tutta, sul serio. E forse in alcuni momenti l’ abbiamo intravista la felicità. Ma le nostre anime non hanno mai comunicato. Abbiamo condiviso molto insieme: passioni, interessi, progetti. Tempo, tanto tempo. Pensavamo che questo bastasse al nostro amore. Ma ci siamo illusi. Fino a quando non sei arrivata tu nelle nostre vite. Non è stato un vero e proprio arrivo, il tuo. Direi piuttosto che è stato un ritorno: tu infatti ci sei sempre stata. C’eri quando Arnold mi ha conosciuto, c’eri quando ha fatto per la prima volta l’amore con me, c’eri quando siamo andati a convivere e quando ci siamo sposati. C’eri anche ieri sera quando mi ha sedato per mantenere la promessa che ti aveva fatto 30 anni fa e quando poi ha fatto l’amore con me nel modo più bello che potesse fare affinchè mi rimanesse un ultimo ricordo felice. Tu ci sei sempre stata perchè la sua anima era tua. Io sono riuscita a rubargli il cuore, forse, ma l’ anima quella no. Mai. E’ da sempre stata tua. Ed è ora che ritorni a te. Buona vita. Jackie.
Ilary per la prima volta nella sua vita pianse. Fu un pianto liberatorio. Il cerchio era finalmente chiuso.
“In cosa credi consista il tradimento? Nell’ andare a letto con qualcuno, o nella possibilità di distruggere, andandoci, la felicità di qualcun’ altro?”
L’ indice di Arnold continuava a sottolineare quella frase, ossessivamente. Stava compiendo quel gesto in maniera compulsiva da ormai 5 minuti come se, toccando quelle parole, potesse trovare la risposta al quesito che lo dilaniava. Ormai però la vita lo aveva messo di fronte a una nuova certezza. Ora aveva una risposta chiara a quella domanda. Aveva capito che il vero tradimento non aveva a che fare con l’ andare a letto con qualcuno e nemmeno con la felicità di qualcun’altro. Ma con la propria di felicità, sì. Il solo tradimento di cui ci si doveva preoccupare era quello verso se stessi. Vivere non seguendo la propria anima. Zittire il proprio cuore. Accontentarsi. Non seguire i propri sogni e le proprie passioni. Non avere il coraggio di guardare dentro se stessi e di conoscersi. Non volere cambiare. Non superare i propri limiti. Non buttarsi in qualcosa di nuovo. Non affrontare le paure. Mascherare le proprie emozioni. Vivere seguendo dei progetti precostituiti. Essere sempre uguali a se stessi. Non evolversi. Non darsi nuovi stimoli. Non rimettere tutto in gioco. Tendere a un equilibrio stabile. Avere paura di amare. Non essere folli.
E così con questa nuova consapevolezza Arnold bussò a quella porta. Aveva smesso di tradire se stesso. Lei in un certo senso non l’aveva mai tradita. Aveva mantenuto la promessa. Ora l’ avrebbe riconquistata. C’era un cuore nuovo che aspettava di conoscere l’amore e lui glielo avrebbe mostrato. Il bambino era diventato uomo, i cuori erano cambiati , ma le anime no. Quelle si sarebbero da subito riconosciute. Ne era sicuro.
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