“Mangiatori di anguria” di Alfredo Tocchi

“Mangiatori di anguria” di Alfredo Tocchi

 (tratto da “Dimmelo domani”)

Milano. Sono le sette di sera. Masha è tornata a Donetsk. Suona il telefono:
“Ciao Giulio. Come stai?”
“Bene, tu?”
“Benissimo. Ho bisogno di parlarti, ma non vorrei andare al condominiale. Registrati sul sito BikeMi. Prendiamo due biciclette e andiamo a fare un giro.”
“Sei impazzito?”
“No, parlo seriamente. Però dobbiamo assolutamente vestirci da mangiatori di anguria.”
“Giordano, cazzo, non è serata. Vuoi spiegarti?”
“Bermuda beige, canottiera, calzini corti e scarpe da tennis. Anzi, meglio sarebbe un bel paio di quelle scarpe di corda o di cuoio intrecciato, leggero. Ma non se ne trovano più.”
“Non ho neanche calzini corti. Va bene senza calze?”
“Fai tu, sorprendimi. Una calza lunga azzurra di filanca può andare bene, se la abbini con una canottiera in tinta.”
“Ok, vengo senza calze.”
“I piedi sono i tuoi. Fai in fretta che ti aspetto al Bike Sharing davanti all’ “Albero del Pepe” tra dieci minuti.”
Giordano è pazzo. Tutti pensano che quello strano sia io, ma lui mi sorprende sempre. Come gli viene in mente una cosa simile? E io, perché gli do retta? Metto i bermuda, ma non possiedo canottiere. Immagino i commenti sarcastici se uscissi con una John Smedley. Rovisto nel cassetto e trovo una maglietta bianca regalata dall’Air France un’estate che mi avevano perso i bagagli, tornando dalla Polinesia. Non ho neanche scarpe da tennis. Metto un paio di Sebago bianche vecchie di vent’anni. Tolgo il Reverso, indosso uno Swatch, lascio la pappa per Wigo ed esco, sperando di non incontrare nessuno.
Proprio sotto casa incontro il Professor Caccamo. “Buonasera Professore.” “Buonasera Avvocato. Va al parco a correre?”
“Per carità, a stento cammino. Vado a raggiungere Giordano per fare un giro in bicicletta. Sa com’è Giordano, un bambinone.” Mi guarda e sorride, annuendo col capo. “Divertitevi” e prosegue, più lento di un vecchio bradipo, verso il condominiale. Fa caldo. Per fortuna c’è poco traffico. In un attimo sono al semaforo di Via Visconti di Modrone. Giordano è già davanti alle bici. Fantastico: ha una canottiera di lana a coste. Non ne vedevo da anni. Bermuda con grandi tasche laterali e Superga bianche con calzino corto di spugna. Occhiali da sole.
Attraverso e mi saluta, serissimo. “Scegli una bici.”
“Sono tutte uguali.”
“Cosa pretendi, che l’ATM ce le dia tutte diverse?”
Poi mi fissa e sbotta: “Bermuda di Brooks Brothers, maglietta Air France, scarpe Sebago. Poi ci lamentiamo se il made in Italy va male.”
Non gli rispondo. “Dove andiamo?”
“Sui navigli. L’anguria migliore non si mangia in centro.”
“Ma Giordano, sono le sette e un quarto. Non ho ancora mangiato niente. Non posso mangiare soltanto una fetta di anguria.”
“Lo so. Per questo prima di tutto andiamo al take away cinese di Via Foppa. Anche i vecchi milanesi ormai amano gli involtini primavera.”
E così, prese le bici, iniziamo a pedalare. Lui davanti e io dietro. Due professionisti cinquantenni, vestiti come due pirla, con due bici del Bike Sharing.
In Piazza Missori Giordano si ferma per alzare il sellino. “Come va, ti diverti già?”
“Non ancora, ma sono certo che mi divertirò.”
E ripartiamo, per le viuzze strette del centro, pedalando sul pavé. Finalmente arriviamo in Via Foppa, davanti al Singapore. Ordiniamo e ci sediamo sulla panchina dei giardinetti lì vicino ad aspettare che sia pronto.
“Sai cos’è quel palazzo?”
“No.”
“Una casa di riposo. Questa è la panchina dove si siedono i vecchietti della casa di riposo.”
“Allegro, mancano soltanto Wigo, una badante e un giornale.”
“Appunto. Io non voglio finire così. In una casa di riposo ad aspettare che tu o tua figlia veniate a trovarmi, ogni tanto.”
“Beh, neanche io.”
“Secondo te faccio male a lasciare tutto e ad andare in Kenya?”
“Non lo so. Ci vuole un bel coraggio.”
“Sì, è vero. Ma, vedi, io ho sbagliato tutto. Volevo fare il giornalista, fin da bambino. Volevo scrivere sul Corriere della Sera, come i veri grandi giornalisti. Ci sono riuscito. Tutte cazzate. Oggi i veri giornalisti – che la gente stima e conosce – sono soltanto quelli televisivi.” Abbassa gli occhi. Fa una pausa. Poi mi guarda e continua:
“Cosa ti manca della tua vecchia vita?”
“Tutto. Mia moglie, mia figlia, le case, gli oggetti. Tutto. Ma soprattutto mi manca il lavoro, l’immagine che avevo di me, partner di uno studio importante. Poi però penso allo stress di essere costretto a rispettare un budget, al prezzo che ho pagato per la mia ambizione, all’invidia dei colleghi, alle notti passate a lavorare. Non mi pento di nulla, rifarei tutto. Ma ora non ce la farei più Giordano. Ora ho cinquant’anni. Per questo ho accettato il lavoro in banca. Ma, vedi, per te è diverso. Tu stai scegliendo di gettare la spugna, io sono stato costretto a farlo.”
“Sì, lo so. Io getto la spugna perché amo Aisha, Giulio. E mi sono rotto le scatole di questo paese. Il Corriere, la politica, la crisi, la gente che invecchia. Me ne vado su una spiaggia, a guardare i tramonti. Magari scriverò, magari no. Non è importante. Voglio vivere sereno con Aisha. Posso permettermelo. Lei è felice.”
Lo osservo. È lui che è felice. Certo, ha le rughe e i capelli grigi. Ma è felice e innamorato come un ragazzino. “Sei un sognatore Giordano. Uno straordinario sognatore. Sei l’uomo più straordinario che io abbia mai conosciuto. Ti giuro, sto per chiederti di non partire soltanto per poterti avere qui a Milano come amico.”
“No, non sono straordinario. Sono fortunato. Molti altri vorrebbero lasciare tutto, ma io ho una differenza: io posso farlo. Infatti lo faccio.”
Mangiamo con le bacchette, direttamente dai contenitori, come nei film americani. “Qui è bello. Non è ancora periferia, ma neanche più centro. Non mi piace più la gente del centro, quelli che vanno a Santa e a Courma, che mettono su Facebook le foto felici dei viaggi ai Caraibi. Voglio osservarli da lontano, guardarli come li vedono gli indigeni, sulla spiaggia di Malindi. Sono nato ricco, ho avuto molto. Voglio morire povero, accanto a una donna africana che sa cosa voglia dire soffrire.”
“Spero che non sia un’illusione romantica, Giordano. Spero che ad Aisha non manchi mai Via Montenapoleone.”
“Sì Giulio, hai ragione. Il rischio è quello. Che lei un giorno, sulla spiaggia, incontri un altro Ubaldo che se la porti via, promettendole una vita dorata, fatta di vacanze a Santa e Courma.” Ridiamo. Poi, guardandomi dritto negli occhi, mi dice:
“Tu cosa faresti?”
“Sei troppo intelligente per domandare un consiglio proprio a me, che ho fottuto la mia vita.”
“Al contrario, tu sai cosa voglia dire ricominciare. Per questo te lo domando.”
“Posso risponderti con i pensieri di Siddharta alla scoperta del suo Io: non più verso casa, non più indietro” (Hermann Hesse, Siddharta).
“Lo penso anch’io, Giulio.” Poi sussurra: “Come va con Masha?”
“Male. Si è fissata che io debba andare ad abitare al lago. Dice che non posso pagare un affitto a Milano.”
“Forse, semplicemente le piace il lago. Già s’immagina di abitarci con te.”
“Non credo. La sento fredda. È come se l’Italia l’avesse delusa. O forse l’ho delusa io, non so.”
“Se avremo voglia di rivederci – e rivederci ancora – allora sarà amore. Te l’avevo detto.”
“Sì. A volte ci immaginiamo tante cose, facciamo un film del nostro futuro per poi accorgerci che questo film rovina il nostro presente. Se Masha si occupasse meno dei miei problemi e pensasse di più se ha voglia o no di rivedermi, le cose sarebbero più semplici.”
“No, Giulio. Lascia perdere quello che fa lei. Tu cosa vuoi fare?”
“Non lo so Giordano. Davvero. Da un lato stare da solo è atroce. Dall’altro è molto comodo. Si vive nell’illusione di trovare una donna perfetta, quella che abbiamo sempre desiderato. E così si trascura l’unica donna della nostra vita, per restare legati alla nostra illusione.”
“Illusione. Perché parli di illusione e non di speranze, sogni?”
“Forse perché non credo più nei sogni. Sono diventato cinico. Per questo ti ammiro. Ti butti a capofitto in questa storia d’amore con Aisha…”
“Sono innamorato, è tutto molto semplice.”
“Ci credo, lo vedo.”
“E l’amore mi dà la forza di riprogettare il mio futuro.”
“Io mi guardo sempre indietro, invece. E questo spaventa le donne. Vogliono un uomo che pensi soltanto a loro, che ami soltanto loro. Riescono a essere gelose anche di un passato che non fa più parte della mia vita, se non nei miei ricordi. Ma io ho avuto una vita felice. Con Paola sono stato felice. E avrò sempre nostalgia.”
“O forse non sei più capace di illuderti, perché sai – dopo il risveglio dal coma – che tutto può cambiare in un attimo.”
“No, invece m’illudo. Di essere uno scrittore, ad esempio.”
“Anch’io. Ma non credo che scriverò mai nulla. In fondo, tuo zio ha ragione: chi se ne frega.”
“No Giordano. Io, invece, sono certo che a lui importi moltissimo. Lui è sicuro che – dopo morto – diventerà famoso. Ha avuto il coraggio di creare le sue opere, esponendosi a tutte le critiche, le derisioni a cui ogni artista va incontro. Noi invece non abbiamo ancora creato un bel niente e già siamo tormentati dai dubbi. È molto diverso. Prima dovremmo fare, poi aspettare, fingendo indifferenza.” Resta pensieroso.
“Giulio, noi siamo due poeti. La poesia è scomparsa dal mondo. Oggi i ragazzi ricordano soltanto i testi delle canzoni.”
“Lo so. Allora scriviamo testi di canzoni. Meravigliosi, poetici testi di canzoni.”
Ride: “Vedi, questa è la conferma che – tra noi due – sei tu l’artista. Sei tu quello che sente il bisogno di esprimersi, nonostante tutto.”
Sorrido, ma non dico nulla. Così gettiamo gli avanzi della cena e ripartiamo, verso i navigli. Sono le otto e c’è una luce magnifica. Pedaliamo leggeri, io pensando a Masha, Giordano sognando l’Africa. Entrambi felici della nostra leggerezza, della nostra ingenuità, del fatto che forse, anche a cinquant’anni, sappiamo ancora giocare e divertirci come due bambini.
E quando finalmente troviamo un venditore di angurie, lungo il naviglio, restiamo in silenzio a mangiare.
“Buona.”
“Ottima. Però, la prossima volta, portiamoci un repellente per le zanzare.”

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